Impronta ecologica, anche quella delle scarpe può essere migliorata
[24 Settembre 2013]
L’industria delle scarpe tradizionalmente non ha grandi problemi ambientali visto che assembla materiali che le vengono forniti e che la maggior parte dei rifiuti che produce sono assimilabili a quelli urbani, ma l’istituto tecnológico del calzado conexas (Inescop) ha realizzato un paio di progetti europei che riguardano la diminuzione dell’impronta ecologica della produzione di calzature partendo dal riutilizzo e dalla diversificazione delle materie prime.
In Francia c’è già una tassa sulle calzature usate per avviarle al trattamento finale, ma per evitare che le scarpe vecchie finiscano in discarica gli spagnoli di Inescop hanno studiato come riutilizzare i circa 2, 3 miliardi di paia di scarpe che si vendono ogni anno in Europa e che finiscono probabilmente quasi tutte in discarica, e alle quali vanno aggiunte almeno 90.000 tonnellate di rifiuti dell’industria calzaturiera e degli accessori. Inescop spiega che «Questo tipo di residuo, formato principalmente da una combinazione di materiali polimerici e pelli, comporta un elevato impatto visivo e il suo lento degrado lo rende molto persistente nell’ambiente che ci circonda». Per trovare una via d’uscita a questo spreco è nato il progetto “Naturalista” dell’Unione europea (Programma Cip-Eip-Eco-Innovation-2009), al quale partecipano aziende spagnole, portoghesi, polacche e ceche, il cui principale obiettivo è valorizzare questi tipi di rifiuti che, una volta triturati, possono servire a fabbricare nuovi prodotti.
Le ricerche realizzate all’interno del progetto, coordinato da Invulsa e Inescop, hanno dimostrato che con le scarpe triturate si può produrre un sottoprodotto che può essere mescolato ad una grande varietà di prodotti polimerici, come ad esempio suole, solette, pannelli isolanti, pavimenti e riduttori di velocità stradali, contribuendo così a ridurre l’impronta ecologica delle scarpe a fine vita e valorizzando rifiuti che attualmente finiscono in discarica.
Inescop ha realizzato un prototipo di riduttori di velocità che ha già sperimentato con successo nell’ Ayuntamiento de Elda nella Vía Lv-Elda, una strada molto trafficata perché porta all’ospedale ed a diverse scuole. Questi riduttori sono stati realizzati partendo dalla macinazione di scarpe in pezzetti da 12 millimetri. I due strati superiori dei riduttori, quelli che entrano in contatto con le ruote dei veicoli, sono in gomma, mentre la parte inferiore contiene il materiale fatto con le scarpe macinate mischiate con un composto di caucciù. I test realizzati ad Elda dimostrano che il comportamento di questi riduttori di velocità in materiale riciclato è del tutto simile a quelli convenzionali prodotti al 100% con gomma. Ad Inescop dicono che «Siamo di fronte ad un prodotto sia molto più economico che rispettoso dell’ambiente grazie al riutilizzo di un rifiuto la cui destinazione sarebbe la discarica.
Il riciclo delle scarpe porta ad un’altra questione: quella delle materie prime. «Oggi la maggior parte della plastica è ancora prodotta usando carburanti fossili non rinnovabili, soprattutto il petrolio – spiega il bollettino scientifico dell’Ue Cordis – Con l’inasprirsi delle preoccupazioni sull’impatto ambientale e sui cambiamenti climatici, alcuni ricercatori hanno cominciato a cercare alternative». Inescop infatti è leader anche del progetto “Plastics from renewable sources applied in footwear” (EcoTpu), anche questo finanziato dall’Ue con circa 490.000 euro nell’ambito del programma Eco-Innovation, e che aveva lo scopo di «Sviluppare una nuova famiglia di poliuretani, rispettosi dell’ambiente, per il mercato europeo delle calzature». A EcoTpu ha partecipato anche l’italiana Industrie Chimiche Forestali, che opera nel settore dei tessuti per puntali e contrafforti e negli adesivi per il settore calzaturiero e del mobile imbottito.
Il coordinatore del progetto, Joaquin Ferrer Palacios di Inescop, sottolinea che «Il global warming è un grande problema, è quindi necessario migliorare i processi attuali, con lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra. I poliuretani termoplastici (Tpu) sono un esempio di una famiglia di plastiche prodotte usando risorse fossili. Queste plastiche si usano in un’ampia gamma di prodotti. Nel settore calzaturiero, per esempio, i poliuretani termoplastici si usano come elemento di rinforzo nei cappellotti, nei talloni e nelle suole».
Il team di EcoTpu ha cercato altre materie prime da utilizzare per produrre plastiche con proprietà simili a quelle ottenute usando carburanti fossili e dice che «Le bio-risorse coltivate in modo responsabile, in particolare gli oli vegetali, sono sembrate una buona opzione perché il processo sarebbe fattibile dal punto di vista tecnico ed economico e avrebbe un impatto minore sull’ambiente. Un processo per fare la plastica basato sugli oli vegetali aiuterebbe a ridurre il consumo di materiali non rinnovabili a base di petrolio riducendo allo stesso tempo le emissioni di CO2 associate a questi materiali». Una buona notizia, ma che è necessario approfondire ad una riflessione estesa lungo tutta la filiera della plastica: la presenza dei nuovi biopolimeri può creare difficoltà di riciclo delle plastiche tradizionali, un pericolo che dev’essere evitato. Da una prospettiva di efficienza delle risorse, grazie alla sostituzione della plastica vergine, il riciclaggio porta infatti vantaggi che non devono essere “inquinati”.
Secondo Ferrer «Il progetto è riuscito a produrre poliuretani termoplastici grezzi usando oli vegetali, con un contenuto a base biologica compreso tra il 48 e il 75%». In effetti i partner del progetto hanno realizzato una catena di produzione operativa con una capacità stimata di 5.000 tonnellate l’anno di “EcoTpu”, producendo 4 tipi di prodotti: la materia prima EcoTpu, cappellotti e suole fatte di EcoTpu e scarpe con suole e cappellotti di EcoTpu.
Il progetto biennale, realizzato dal 2010 al 2012, ha permesso ai ricercatori di «Ridurre la richiesta di energia non-rinnovabile della catena di produzione di circa 480 tonnellate l’anno e a far scendere le emissioni di CO2 di circa 1.000 tonnellate l’anno». Ferrer è convinto che «In futuro, in condizioni di piena produzione, il processo potrebbe eliminare fino a 30.000 tonnellate di CO2 l’anno. I risultati del progetto saranno vantaggiosi per tutti perché quasi tutti usano calzature. Inoltre, altri settori che usano questa famiglia di plastica, come quello automobilistico, dell’arredamento o dell’abbigliamento, potrebbero trarne vantaggio».