In Italia più di 4 milioni di lavoratori senza protezioni sociali

Finita la fase emergenziale del Covid-19 rimangono scoperti i lavoratori non standard, anziani disoccupati, autonomi, inoccupati e chi ha terminato le indennità assicurative

[7 Dicembre 2023]

Mentre le forze politiche e sindacali  (verrebbe da dire finalmente) si scontrano sul salario minimo in Parlamento e nel Paese, al  convegno La Protezione Sociale dei Lavoratori al Bivio” sono stati presentati   due rapporti di ricerca del progetto PTA INAPP Ammortizzatori Sociali 2022-2024 dai quali emerge una realtà drammatica del mondo del lavoro italiano, sia dipendente che autonomo.

Il primo rapporto, “Evoluzione dei regimi di protezione sociale dei lavoratori alla prova della crisi pandemica”, affronta il tema dello studio dei sistemi di protezione sociale dei lavoratori cercando di determinare una prospettiva di analisi articolata, considerando la protezione reddituale dei lavoratori non come un sistema unitario, esclusivamente identificabile nell’insieme dei tradizionali ammortizzatori sociali assicurativi, tentando, così, di valicare un approccio conoscitivo che pone la protezione sociale del lavoro all’interno di paradigmi legati a dimensioni del lavoro troppo categoriali.

Come ricorda l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP), «Durante la fase pandemica in Italia sono stati più di 6 milioni i beneficiari delle integrazioni salariali, per una spesa di 18 miliardi di euro a cui si sono aggiunti 4 milioni di beneficiari di indennità assistenziali non coperti dal sistema assicurativo con una spesa complessiva di 6 miliardi di euro. Ma finita la fase di emergenza sanitaria nel nostro Paese l’applicazione dell’universalismo differenziato non è stata corretta».

All’INAPP fanno notare che «Ciò non significa applicare uno stesso strumento assicurativo ad aziende con caratteristiche diversificate, come è avvenuto attraverso una maggiore estensione delle integrazioni salariali, ma come sostiene l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) strutturare un nuovo modello di protezione sociale dei lavoratori su interventi di diversa natura (assicurativi e assistenziali) per rispondere a mercati del lavoro sempre più frammentati e digitalizzati». Se non si fa questo, come emerso dal convegno, «In Italia rimangono scoperti, in caso di crisi, più di 4 milioni di lavoratori non standard, quelli anziani sopra i 52 anni, i contingenti, gli autonomi individuali, gli inoccupati in cerca di lavoro, i lavoratori delle piattaforme e i “working poors”».

Il presidente INAPP Sebastiano Fadda, sottolinea che «In sostanza nella fase emergenziale sanitaria il sistema sembrava estendersi verso il principio di un universalismo differenziato, oltre ad un aumento delle integrazioni salariali erano stati introdotti dei sussidi assistenziali per particolari soggetti lavorativi (lavoratori autonomi, contingenti, stagionali, occasionali). Dopo la fase pandemica mentre si è consolidata l’estensione assicurativa, si è persa completamente l’esperienza delle indennità assistenziali. Così la fase emergenziale ha inciso solo parzialmente sull’estensione del sistema ordinario, aumentando la copertura dei tradizionali schemi assicurativi ma perdendo completamente i programmi assistenziali in caso di perdita del lavoro per tutti quei soggetti esclusi dalle misure assicurative-contributive».

Infatti, nel nostro Paese dopo l’emergenza covid-19 c’è stata una maggiore estensione delle integrazioni salariali, ma si è persa completamente l’esperienza delle indennità assistenziali. In particolare, dai due studdi emerge che «Si è proceduto ad una non corretta interpretazione del principio dell’universalismo differenziato che non significa estendere una stessa misura assicurativa a tutte le tipologie di impresa, ma costruire un sistema di protezione della forza lavoro basato su programmi di natura diversificata, tra loro integrati e distinti dagli schemi di reddito minimo. In tal modo in Italia rimane ancora assente un regime di protezione dei lavoratori realmente universale, sempre troppo ancorato a consistenti schemi assicurativi categoriali e ad uno schema di reddito minimo in via di profonda ridefinizione, senza nessun’altra forma di protezione assistenziale nel mercato del lavoro a separare i due programmi, così distanti per natura, funzione e condizionalità».

Il secondo rapporto.“Conditionality in France and Spain: assessing workers’ social protection system”, analizza il concetto di condizionalità negli interventi pubblici di protezione sociale che hanno come obiettivo il contrasto alla disoccupazione e alla carenza di reddito dei lavoratori. L’articolo evidenzia in chiave comparata l’applicazione della condizionalità negli interventi diversificati (assicurativi e assistenziali) di contrasto alla disoccupazione e povertà dei lavoratori, sottolineando punti di forza e debolezza. Partendo dallo studio delle diverse forme di condizionalità e dalla valutazione di alcune misure assicurative e assistenziali ad esse collegate, il policy maker può acquisire informazioni basate sulla esperienza concreta dei casi di Spagna e Franciaper progettare politiche di protezione e attivazione dei lavoratori efficaci.

In Spagna un articolato sistema di sussidi contro la disoccupazione (assicurativi e assistenziali), oltre a garantire un più alto livello di copertura, l’85% dei soggetti in una condizione di disoccupazione nel 2020, rappresenta anche un filtro per il lavoro non standard e la disoccupazione di lunga durata prima che si configuri come beneficiario degli schemi di reddito minimo.

Scenario simile a quello della Francia dove ci sono ammortizzatori sociali contributivi e un sussidio assistenziale che ha coinvolto nel 2020 circa 400mila beneficiari. Inoltre il sistema francese prevede per i lavoratori poveri un sostegno al reddito e un intenso piano di attivazione formativo, che ha coinvolto nel 2020 più di 4 milioni di working poors e un sostegno per l’assistenza abitativa. Appare evidente che anche nel caso francese l’articolazione del sistema di protezione reddituale della forza lavoro determina un minore accesso di soggetti occupabili verso gli schemi di reddito minimo. Le analisi evidenziano anche come l’attuazione di una dinamica di costruzione di un sistema di protezione sociale dei lavoratori incentrato sul principio dell’universalismo differenziato garantisce elasticità al sistema.

Il presidente dell’Inapp conclude: «Oggi gli interventi di protezione della forza lavoro riguardano le politiche sociali e il sostegno al reddito nei casi di povertà e di disoccupazione Bisognerebbe pensare a migliorare il sistema per estendere la protezione anche al lavoro “non standard”, come quello autonomo, contingente, part-time involontario o delle piattaforme. Questi lavoratori non possono essere “dimenticati” dal sistema di protezione sociale, proprio per questo occorre pensare a misure di sostegno per tutte quelle figure che non godono oggi di alcun paracadute al termine spesso  di singole o brevi esperienze lavorative, in modo da rendere finalmente universale un sistema di protezione sociale dei lavoratori capace di affrontare con efficacia le nuove sfide di un mercato del lavoro sempre più frammentato e composto da posizioni lavorative spesso discontinue, atipiche e legate a rapidi e profondi cambiamenti strutturali».