Presentato il Rapporto nazionale 2020 del Circular economy network
In Italia stanno diminuendo gli occupati nell’economia circolare
Ronchi: «È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri»
[19 Marzo 2020]
L’economia circolare viene comunemente fraintesa con la gestione dei rifiuti che produciamo, o ancora più spesso con alcune loro frazioni: i rifiuti urbani ad esempio (30,2 milioni di tonnellate nel 2018) o gli imballaggi (13,5 milioni di tonnellate immesse al consumo nel 2019), ma questo non permette di avere un’idea precisa delle dimensioni in gioco. A ricordarle ci pensa oggi il Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020, elaborato come sempre dal Circular economy network: l’economia circolare parte da un’oculata estrazione delle materie prime, passando poi alla loro gestione come prodotti e quella come rifiuti, per poi massimizzare il loro recupero e la loro re-immissione sul mercato.
Nei fatti, in media – con amplissime differenze a seconda dei Paesi considerati – ogni persona sulla Terra utilizza più di 11.000 chili di materiali all’anno: quasi un terzo dei materiali utilizzati nell’arco di 12 mesi rimangono in uso dopo un anno, come i veicoli, ma il 15% viene immesso nell’atmosfera in forma di gas serra e quasi un quarto è direttamente scartato nell’ambiente, come avviene prevalentemente per la plastica. Globalmente un terzo dei materiali viene trattato come rifiuto, per lo più destinato alle discariche.
E in Italia? Ogni anno (dati 2016) consumiamo 603,4 milioni di tonnellate di materiali, suddivisi in 223,9 Mt di minerali, 132 Mt di combustibili fossili, 126,6 Mt di biomasse, 14,6 Mt di metalli. Solo 106,3 Mt di materiali (il 17,6%) proviene dal riciclo. Un dato che è stato aggiornato al 2017 da Eurostat solo pochi giorni fa, e non si discosta di molto: il tasso di circolarità della nostra economia è fermo al 17,7%, un dato comunque superiore alla media europea.
«Nell’economia circolare l’Italia è partita con il piede giusto e ancora oggi si conferma tra i Paesi con maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia – commenta Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente del Circular economy network – Sotto il profilo del lavoro, siamo secondi solo alla Germania, con 517.000 occupati contro 659.000. Percentualmente le persone che nel nostro Paese vengono impiegate nei settori ‘circolari’ sono il 2,06% del totale, valore superiore alla media Ue 28 che è dell’1,7%. Ma oggi registriamo segnali di un rallentamento, precedente anche alla crisi del coronavirus, mentre altri Paesi si sono messi a correre: in Italia gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono diminuiti dell’1%. È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri».
Anche perché le potenzialità di sviluppo ci sarebbero tutte: secondo una recente stima elaborata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, entro il 2025 l’economia circolare potrebbe dare all’Italia quasi 150mila nuovi posti di lavoro. Manca però una politica industriale adeguata a centrare l’obiettivo, e anche la necessaria presenza di impianti sul territorio per nutrire la filiera. Se infatti nel periodo 2004-2018 l’esportazione di materie prime riciclabili verso Paesi non Ue è aumentata complessivamente in Europa e in tutte le principali economie, in Italia tale valore è risultato addirittura quintuplicato.
«L’Italia – osserva Ronchi – di fatto utilizza al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza (per ogni chilo di risorsa consumata si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24). Ma è penalizzata dalla scarsità degli investimenti – che si traduce in carenza di ecoinnovazione (siamo all’ultimo posto per brevetti) – e dalle criticità sul fronte normativo: mancano ancora la Strategia nazionale e il Piano di azione per l’economia circolare, due strumenti che potrebbero servire al Paese anche per avviare un percorso di uscita dai danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus ancora in corso».
Una bussola in materia è arrivata dall’Ue la scorsa settimana, attraverso il Piano d’azione per l’economia circolare che punta a raddoppiare l’impiego di materiali provenienti da recupero nell’arco di un decennio. Un obiettivo sfidante, per il quale occorrono risorse adeguate: «Per rendere operativo il Green Deal occorre almeno il triplo delle risorse stanziate – conclude Ronchi – bisogna arrivare a 3.000 miliardi di euro. Per raggiungere questo obiettivo serve un pacchetto di interventi molto impegnativi: una riforma dei regolamenti alla base del Patto di Stabilità per favorire gli investimenti pubblici; una nuova strategia per la finanza sostenibile in modo da incoraggiare la mobilitazione di capitali privati; una revisione delle regole sugli aiuti di Stato. Indispensabili, infine, la revisione della fiscalità e la riforma degli stessi meccanismi istituzionali dell’Unione europea».