Inapp, l’Italia è una Repubblica sempre più basata sul profitto anziché sul lavoro

Da trent’anni i salari sono fermi mentre nell’area Ocse sono cresciuti di un terzo. La soluzione? Lo Stato come datore di lavoro di ultima istanza

[22 Dicembre 2023]

Il nuovo rapporto Inapp 2023, pubblicato dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) e presentato nei giorni scorsi a Montecitorio, mostra un mercato del lavoro italiano attraversato da molteplici difficoltà.

Dopo la crisi generata dalla pandemia il mercato del lavoro italiano ha ricominciato a crescere ma resta attraversato da criticità strutturali: bassi salari, scarsa produttività, poca formazione e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori, non avendo alcun paracadute per oltre 4 milioni di lavoratori ‘non standard’ dagli autonomi, a chi è stato licenziato o è alla ricerca di un’occupazione, passando per i lavoratori della gig economy fino ai cosiddetti working poors.

«Gli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati – commenta il presidente Inapp, Sebastiano Fadda – se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54%) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato».

In particolare, duole osservare che tra il 1991 e il 2022 i salari reali degli italiani sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5%.

In parte questo trend è legato alla scarsa produttività del lavoro, che Italia a partire dalla seconda metà degli anni Novanta mostra una crescita di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7 (segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%), anche se la produttività del lavoro nel nostro Paese è comunque crescita più dei salari.

È piuttosto l’intero modello economico che rende sempre più marginale il ruolo del lavoro, a tutto vantaggio dei profitti.

«La riduzione della quota salari avvenuta almeno fino al 2000 – argomenta l’Inapp – ha determinato un cambiamento del modello di sviluppo italiano ed europeo da ‘condotto dai salari’ a ‘condotto dai profitti’ (wage-led e profit-led growth). Questi ultimi si sono, di conseguenza, assestati attorno al 40% del Pil calcolato al costo dei fattori». A dispetto della Costituzione, che vorrebbe l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro.

Per attaccare alla radice i problemi del lavoro, l’Inapp avanza una proposta di policy coraggiosa, in linea con quella avanzata a suo tempo su greenreport.it dal compianto Luciano Gallino: fare dello Stato il datore di lavoro di ultima istanza.

Le politiche keynesiane partono infatti dal fatto che uno dei maggiori problemi del capitalismo sarebbe l’incapacità di generare sufficienti posti di lavoro per tutti quelli che vorrebbero lavorare.

In quest’ottica «responsabilità del Governo è dunque integrare la creazione privata con programmi d’occupazione diretta, di ultima istanza o di ‘lavoro garantito’ – spiega l’Inapp – L’obiettivo è quello di raggiungere la piena occupazione e fissare un livello minimo per il salario dei lavoratori occupati in questi programmi, sostituendo, di fatto, il salario minimo di legge».

Il programma Employer of last resort (Elr) ha una natura anticiclica e di ‘riserva’ (buffer-stock nature), concepito per espandersi nelle fasi di contrazione economica e viceversa. Inoltre, il lavoro generato con i programmi Elr avvia un effetto moltiplicativo della spesa impiegata che produce effetti occupazionali decisamente maggiori, consente di offrire lavori immediatamente disponibili laddove ce n’è più bisogno, in particolare a quelle persone che ne hanno maggiore necessità.

«Una politica per il lavoro esplicitamente redistributiva del lavoro, del reddito, del consumo e del potere – osserva l’Inapp – Questo rappresenta, però, anche la più grande criticità di fondo della proposta, poiché una politica di Elr così concepita richiede l’accettazione di un nuovo ‘patto sociale’ che rigetti l’idea di considerare la disoccupazione e l’occupazione sottopagata come un equo prezzo da pagare in nome della stabilità economica».

L. A.