Inchiesta keu, la verità di Eugenio Giani e Monia Monni in Consiglio regionale
L’assessora: «La politica ha le proprie responsabilità perché ogni volta che si prova a far atterrare un impianto, si scatena il gioco del consenso che spesso insegue la pancia e perde di vista l’obiettivo. Ognuno porterà avanti la battaglia di dissenso, magari del proprio territorio, o farà la sua parte per mettere al sicuro il sistema?»
[28 Aprile 2021]
Mentre restano da chiarire ancora molti passaggi in merito alla gestione dei rifiuti speciali generati dal distretto conciario di Santa Croce, finito al centro dell’inchiesta keu condotta dalla Direzione investigativa antimafia di Firenze, oggi il presidente Eugenio Giani e l’assessora all’Ambiente Monia Monni hanno aperto un dibattito in merito in seno al Consiglio regionale.
Tra gli indagati spiccano infatti dirigenti e politici di primo piano in Regione, in attesa che le loro posizioni vengano effettivamente chiarite. Come mai se i rifiuti speciali «non sono competenza regionale», come dichiara Monni? Perché mentre i rifiuti urbani ricadono nell’ambito della privativa comunale e dunque la loro gestione è (su base diretta o tramite affidamento) in capo alla mano pubblica, i rifiuti speciali sono di norma affidati al mercato. Ma – come rende di per sé evidente proprio l’inchiesta – tutta l’infrastruttura impiantistica per la loro gestione, dal riciclo al recupero energetico allo smaltimento, è soggetta e dunque dipende dalle autorizzazioni pubbliche, che in questo caso arrivano (o meno) dalla Regione. Che ha dunque una responsabilità indiretta fondamentale nella gestione (o meno) degli speciali. Ed è un dato di fatto che per alcune frazioni come i fanghi di depurazione, anche di derivazione urbana, l’infrastruttura impiantisca toscana sia assai carente aprendo le porte a possibili infiltrazioni malavitose.
Nel caso specifico, Giani ha esordito dichiarando che «la Toscana è in prima linea contro la criminalità organizzata e proprio ieri la Giunta ha approvato la delibera 599 con sui ci costituiamo parte offesa». Inoltre, propone di «eliminare dalla legge 20/2006 il contenuto dell’emendamento introdotto il 26 maggio scorso» e finito al centro dell’inchiesta e che avrebbe facilitato la vita al depuratore Acquarno: anche perché «gli uffici regionali della direzione Ambiente ed Energia hanno ritenuto che la modifica introdotta non ha prodotto alcun effetto sui percorsi autorizzativi avviati. Non vi sono stati casi in tutta la regione in cui quest’emendamento abbia avuto effetti con autorizzazioni meno complesse di quanto richieda l’assoggettamento ad Aia».
L’intervento più corposo è però quello rivolto al Consiglio da Monni, che punta a sminare «alcune ricostruzioni giornalistiche inaccettabili» sottolineando che «le ipotesi di reato che riguardano un numero identificato di persone dovranno essere accertate dagli inquirenti. È responsabilità di tutti tenere distinte e separate le vicende personali dal più ampio contesto socio-economico della zona che va invece protetto e difeso».
Non è un modo per sminuire l’inchiesta, ma per andare al cuore del problema: «Sia chiaro che questo non equivale in nessun modo a sottacere il rischio, estremamente rilevante, di infiltrazione delle realtà criminali. L’indagine in corso porta alla luce un tentativo gravissimo di aggressione delle mafie al nostro tessuto socio-economico che nessuno di noi deve sottovalutare e che ci dovrà vedere impegnati con sempre maggiore determinazione e risolutezza».
Riguardo all’emendamento approvato dall’aula il 26 maggio scorso, Monni ribadisce come «non abbia prodotto né produca effetti sul regime autorizzativo visto che con decreto dirigenziale del 29 dicembre 2020 si chiude il procedimento e si rilascia, ai sensi della normativa statale, l’Autorizzazione integrata ambientale confermando la deroga dei valori di scarico in acque superficiali per le sostanze non pericolose cloruri e solfati».
Più in generale «ogni attività antropica – argomenta Monni – determina un impatto sullo stato dell’ambiente. Il tema che si pone, anche nei confronti del depuratore di Aquarno, è regolamentare l’attività per ricondurre la produzione di inquinanti in una chiave di complessiva riduzione e conformità ai limiti imposti dalla normativa nazionale. Ed è questo ciò che si ottiene attraverso le autorizzazioni».
L’assessora ricostruisce poi le vicende che interessano il keu che dà il nome all’inchiesta: «Nel distretto conciario toscano i fanghi sono sottoposti da anni a procedimenti differenti di recupero. Presso l’impianto Ecoespanso, di proprietà del Consorzio Aquarno spa, si effettua proprio un processo termico di recupero sia energetico sia materiale da cui si ottiene un granulato denominato Keu. La ratio di tale processo è quella, in termini di economia circolare, di trattare un rifiuto al fine di restituirgli nuova vita impiegandolo in altri processi industriali, come ad esempio l’edilizia. La Regione attraverso Arpat segnala già nel 2018 alcune non conformità rispetto all’autorizzazione».
Entrambi scrivono al consorzio Acquarno specificando che «il keu, pur rispettando i limiti del test di cessione come da decreto ministeriale, nell’immediatezza e dopo essere stoccato in silos, una volta processato (stoccaggio con esposizione agli agenti atmosferici, frantumazione, miscelazione con rifiuti da demolizione e costruzione ndr) all’interno dell’impianto di recupero Le Rose, determinava il rilascio nell’ambiente di sostanze nocive per l’ambiente e per la salute».
Con decreto di dicembre 2019 di modifica del provvedimento di Aia, si dà dunque atto che fino alla definizione di altre forme di reimpiego, il keu non può che trovare altra collocazione che in discarica e il protocollo d’intesa siglato a marzo del 2019 tra Regione, Associazione Conciatori e Rea Impianti – oggi Scapigliato – che impegna l’Associazione dei conciatori Santa Croce a realizzare nuovi investimenti, per circa 80 milioni di euro, funzionali a superare le criticità contestate, realizzare, dai rifiuti, prodotti qualitativamente migliori, ridurre, fino ad eliminare lo smaltimento in discarica di fanghi di depurazione e di scarti della lavorazione conciaria.
Nelle more della realizzazione di tali interventi, Scapigliato avrebbe messo a disposizione spazi per smaltimenti in sicurezza nella discarica per rifiuti non pericolosi di Rosignano Marittimo. Il Protocollo d’intesa, sottolinea dunque Monni, «non può essere lo strumento né per modificare il regime autorizzatorio né per derogare i limiti di accettabilità dei rifiuti propri dell’autorizzazione cogente». Ed è anche sulla base di questo che è possibile affermare, sempre a detta dell’assessore, che «l’intera vicenda è stata presidiata con attenzione dalla Regione e che anzi è stata anche questa attività a contribuire al lavoro degli inquirenti».
Che fare dunque, adesso? «La lotta ai tentativi di infiltrazioni passa anzitutto da istituzioni forti e credibili e da politiche di qualità, efficienti e trasparenti. Chiedo ai sindaci – prosegue Monni – impegno su questo fronte e di dare alla Giunta indirizzi chiari e di sostenere coraggiosamente le scelte conseguenti in tema di rifiuti. A partire da quelli speciali che, ricordo, non sono competenza regionale: si rivolgono al libero mercato e devono essere gestiti da chi li produce. La regolazione sta nei processi autorizzativi e nei controlli».
«In questi anni – continua l’assessore – non ci siamo limitati alla pianificazione dei rifiuti urbani ma abbiamo lavorato per spingere i settori produttivi a migliorare le proprie prestazioni e aiutarli a individuare soluzioni più sostenibili per la gestione dei propri scarti. L’economia circolare è lo strumento scelto per ridurre la produzione di rifiuti, quella più efficace per quelli speciali. Abbiamo aperto tavoli, uno per ogni distretto, per trovare le soluzioni migliori. Una scelta che rivendico con forza. Adesso però dobbiamo trovare insieme strade che non consentano scorciatoie, per arrivare ad impianti che consentano di recuperare o smaltire in modo corretto, economico e sostenibile questi scarti. I settori produttivi ne hanno bisogno e, al di fuori delle competenze amministrative, la politica ha le proprie responsabilità perché ogni volta che si prova a far atterrare un impianto, si scatena il gioco politico del consenso che spesso insegue la pancia e perde di vista l’obiettivo. Non avere competenze non significa non avere responsabilità. Dovremo anche aggiornare il piano degli urbani e scegliere dove realizzare gli impianti necessari. Ognuno porterà avanti la battaglia di dissenso, magari del proprio territorio, o farà la sua parte per mettere al sicuro il sistema?».
La risposta, purtroppo, ad oggi sta nel moltiplicarsi delle sindromi Nimby e soprattutto Nimto (non nel mio mandato elettorale, ndr) sul territorio, che bloccano di fatto ogni ambizione nell’economia circolare come nella produzione di energia da fonti rinnovabili.
In primis la Regione è chiamata a un cambio di passo, a partire dal Piano regionale rifiuti e bonifiche (Prb) che attende di essere approvato dalla scorsa legislatura e sul quale Monni ha iniziato a lavorare dal suo insediamento.
«Monni evoca i tavoli aperti con le associazioni di categoria ma non precisa che – almeno per quanto riguarda quelli su tessile, lapideo, carta e fanghi di depurazione nei quali è impegnata Confindustria Toscana Nord, dichiara oggi l’associazione sulle pagine de La Nazione – dall’insediamento della nuova giunta regionale questi sono stati convocati a seconda dei casi una sola volta o nessuna. Niente può giustificare abusi e violazioni: tuttavia una situazione come quella della Toscana, dove gli impianti di smaltimento sono largamente insufficienti e i rifiuti delle attività industriali faticano a trovare spazio e devono ricorrere a intermediari non sempre affidabili, è un terreno di coltura ideale per comportamenti illeciti».