Presentato a Bruxelles il nuovo quadro di valutazione
Innovazione, nei nuovi numeri europei la fotografia del declino italiano
Nell’Ue complessivamente sono cresciuti gli investimenti pubblici, ma le imprese arrancano
[4 Marzo 2014]
La seconda potenza industriale europea e la 16esima per capacità di innovazione. La fotografia dell’Italia che vive di rendita attorno a un mondo che corre veloce, pronto a superarla, è tutta in questi due numeri: un distillato del quadro di valutazione “L’Unione dell’innovazione“, presentato oggi a Bruxelles.
Nel suo complesso l’Europa sta colmando il proprio divario sul piano dell’innovazione con gli Stati Uniti e col Giappone, ma è al contempo inseguita da Canada, Australia e dalla rampante Cina. Il Paese del dragone guida l’arrembaggio dei paesi Brics, ancora grandemente distaccati per quanto riguarda le potenzialità di innovazione, ma con una grande voglia di recuperare il tempo perduto.
Ma parlare genericamente di Europa non equivale a dare un quadro completo della frammentata realtà che impera nel Vecchio Continente: sul piano della resa innovativa le differenze tra gli Stati membri dell’UE sono ancora considerevoli e si riducono soltanto lentamente. In questo contesto, il nostro Paese rimane indietro.
Il livello di convergenza tra i vari Paesi sul piano della resa innovativa è ritornato al livello del 2009, ma i primi della classe rimangono i soliti noti del nord: nell’innovazione primeggia la Svezia, seguita da Danimarca, Germania e Finlandia. Questi stati sono quelli che l’Ue definisce «leader dell’innovazione, poiché la loro resa innovativa è ben al di sopra della media unionale». Non è peregrino notare però come un eccellente outsider riesca a batterli tutti e 4: si tratta della Svizzera, che fuori da ogni laccio, lacciuolo e patto di stabilità che dir si voglia, anche quest’anno «conferma la propria posizione di leader assoluto dell’innovazione continuando a superare tutti gli Stati membri dell’Ue». E qualcosa dovrà pur significare.
Nel complesso, comunque, la graduatoria generale all’interno dell’Ue è rimasta relativamente stabile. In particolare, stavolta è il settore pubblico a uscire da virtuoso: alla crescita positiva della spesa pubblica per R&S (+1,8%) ha fatto da contraltare un declino continuo degli investimenti di capitali di ventura (-2,8%). Inoltre, un miglioramento sul piano della spesa delle imprese per R&S (+2,0%) è stato controbilanciato negativamente dalle spese per l’innovazione diverse da quelle per attività di R&S (-4,7%).
Andando però a spulciare la lista dei Paesi Ue con le più alte performance nell’innovazione occorre aspettare molto per incontrare l’Italia. Non è tra né tra i leader né tra i «paesi che tengono il passo», ossia quelli dove la resa innovativa è superiore o vicina alla media. La troviamo piuttosto tra coloro la cui resa è al di sotto della media, benevolmente definiti «innovatori moderati».
Per misurare il rendimento innovativo di un paese è stato utilizzato un indice composto da 25 sottoelementi: l’Italia, purtroppo, presenta risultati inferiori alla media per la maggior parte di questi, nonostante il suo rendimento innovativo sia cresciuto costantemente fino al 2012 (registrando un lieve calo nel 2013, l’anno più grave di questa interminabile crisi). I ricercatori italiani, come dimostrano le numerose pubblicazioni al riguardo, riescono a compiere imprese straordinarie con le poche risorse che hanno a disposizione, ma senza un sistema-paese che si muove con loro i risultati sono giocoforza limitati.
Quello dell’Europa è un giudizio che non preoccupa solo per la performance in sé, ma anche per le ricadute industriali che si trascina dietro. «Portare avanti l’innovazione in tutta Europa rimane un elemento prioritario – chiarisce Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione europea – se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo in materia di politica industriale consistente nel far sì che entro il 2020 almeno il 20% del Pil dell’Ue sia prodotto dall’industria manifatturiera». In quanto secondo polo industriale del continente, l’Italia dovrebbe avere un ruolo centrale in questo processo, che sta invece lentamente abbandonando.
La partita della manifattura di domani si gioca tutta sul lato della tecnologia e dell’efficiente utilizzo delle risorse, due elementi che difatti si incrociano in uno dei settori con le maggiori potenzialità di sviluppo nel presente e prossimo futuro: la green economy. Un’industria non vale l’altra per il rilancio dell’Italia (e dell’Europa), ma senza migliorare le performance nell’innovazione il declino sarebbe inevitabile. Il neopremier Renzi ha già avuto modo di affermare come «per uscire dal momento più duro della crisi è necessario puntare sull’educazione». Lo spazio per misurare il peso di questa priorità certo non gli manca: un intero Paese lo aspetta alla prova dei fatti.