Secondo l’Onu circa il 75% delle materie plastiche dei prodotti legate alla gestione del coronavirus rischia di finire in discarica o peggio, disperso nell’ambiente
Insieme alla pandemia da Covid-19 cresce il consumo di plastica, ma non quella riciclata
Insieme alla pandemia sono cresciuti a dismisura i consumi di prodotti in plastica vergine, mentre quella da riciclo rimane al palo a causa del crollo dei prezzi petroliferi. È il momento di sostenerla
[17 Novembre 2020]
Un’emergenza nell’emergenza: il combinato disposto tra l’aumento nei consumi di plastica vergine spinto dal Covid-19 e il crollo del prezzo del petrolio sta mandando completamente in crisi il riciclo dei materiali plastici. I conti sono stati fatti a livello globale e racchiusi in uno studio pubblicato da Science dal titolo “Accumulation of plastic waste during Covid-19” che ha analizzato le ragioni per cui la plastica monouso è tornata grande protagonista durante la pandemia.
A livello empirico, diciamo così, non è una gran scoperta, perché tutti ci troviamo in casa una gran quantità di imballaggi e oggetti plastica – partendo dal packaging per le consegne a domicilio per finire con i dispositivi di protezione individuale – come mai negli ultimi anni. Ma i numeri, come detto, sono ancor più inappellabili: come riporta il Circular economy network si parla di centoventinove miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti al mese come fabbisogno mondiale stimato dell’Organizzazione mondiale della sanità durante la pandemia. A questi dispositivi – viene spiegato nello studio – vanno aggiunti altri rifiuti sanitari (anch’essi per larga parte in plastica) come camici usa e getta e gli stessi disinfettanti per le mani in bottiglia, i cui consumi sono sestuplicati in questi mesi. Non solo, pensate ai vari delivery e l’e-commerce e a tutti gli imballaggi che ne conseguono. Tutto in plastica vergine, o almeno la stragrande maggioranza.
Plastica che in larga parte, per legge per quanto riguarda i rifiuti a rischio sanitario, finisce se va bene nei termovalorizzatori o nelle discariche, ma troppo spesso per terra o nei fiumi o in mare per colpa delle pessime abitudini della gente che non sono assolutamente cambiate neanche dopo la “sveglia” ambientalista che sembrava avesse suonato con l’avvento dell’emergenza Covid-19.
«Si prevede – afferma Tanveer M. Adyel, tra gli autori dello studio – che le dimensioni del mercato globale degli imballaggi in plastica cresceranno da 909,2 miliardi di dollari nel 2019 a 1.012,6 miliardi entro il 2021, con un tasso di crescita annuale del 5,5% soprattutto proprio a causa della risposta alla pandemia”. Che tradotto significa: più rifiuti da gestire, più inquinamento ed emissioni.
Ma soprattutto – denuncia lo studio – questa crisi sanitaria globale esercita una pressione eccessiva sulle normali pratiche di gestione dei rifiuti, con il rischio di privilegiare soluzioni che dovrebbero stare più indietro nella relativa gerarchia, come appunto termovalorizzazione o peggio discarica. Senza contare lo scenario in assoluto peggiore con la già citata dispersione dei rifiuti in ambiente, già osservata purtroppo sulle spiagge e nelle acque.
Se tutto ciò non fosse abbastanza, l’emergenza sanitaria ha fatto sì che – con le fabbriche chiuse o a regime ridotto e i trasporti crollati – si sia ridotta notevolmente la domanda globale di petrolio. Che da una parte sarebbe una buona notizia dal punto di vista ambientale, ma dall’altra ha portato al crollo del prezzo del greggio che “ha reso più vantaggioso produrre plastica vergine da risorse fossili piuttosto che utilizzare materiali plastici riciclati”. E quindi “la domanda di materiale plastico riciclato è diminuita e i margini di profitto del riciclo sono scesi”.
E qui non ci sono strade alternative: è il momento di sostenerla la filiera del riciclo, magari – parliamo dell’Italia – accogliendo la proposta della filiera della plastica nostrana di un credito di imposta per favorire dall’acquisito dei materiali riciclati. Oppure abbassando l’Iva per i prodotti riciclati. E contemporaneamente riuscire ad aumentare gli acquisti verdi delle amministrazioni pubbliche come previsto – ma sempre disatteso – dal Gpp.
Perché proprio alla luce della minore domanda di plastica riciclata, spiegano sempre nello studio, “molte amministrazioni locali europee hanno avuto difficoltà nel gestire lo smaltimento dei rifiuti plastici in modo sostenibile. Con la conseguenza che sempre più plastica rischia di essere smaltita nelle discariche o peggio dispersa nell’ambiente”.
Addirittura, “secondo gli ultimi dati raccolti dall’Unctad (United nations conference on trade and development) circa il 75% delle materie plastiche dei prodotti legate alla gestione del coronavirus rischia di finire così. Con costi economici e ambientali sconcertanti. Già oggi secondo l’United nations environment programme (Unep) l’impatto negativo dei rifiuti di plastica sulla pesca, sul turismo e sulla navigazione ammonta a circa 40 miliardi di dollari all’anno”. E una domanda, alla fine, non può che sorgere spontanea: è in queste condizioni gli obiettivi Ue del riciclo che fine fanno? Diciamo che se già erano difficili da centrare, stanno diventando un’utopia. Insomma, serve agire, in fretta, e governare anche questa emergenza.