Gli ostacoli allo sviluppo sostenibile del Paese passati in rassegna dal ministro Cingolani, Ispra, Iss, Legambiente e Confindustria
Ipertrofia legislativa, complessità burocratica e Nimby contro la transizione ecologica
Ciafani: «Dobbiamo fare in modo che con le migliaia di nuovi cantieri non si inauguri una stagione di guerre civili per le contestazioni sul territorio»
[18 Marzo 2021]
Già quattro anni fa Legambiente denunciava come il primo ostacolo ai progressi dell’economia circolare in Italia fosse «una normativa ottusa e miope», e nel frattempo le cose sono tutt’altro che migliorate: tanto che ieri il neo-ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha riconosciuto che quello legislativo è un problema che ammorba ogni ramo dello sviluppo sostenibile.
Un dato di fatto, ormai, che è stato esplorato nel corso del primo incontro Presto e bene. La transizione ecologica dai progetti ai cantieri, cui oltre al ministro hanno partecipato i vertici di Ispra, Iss, Legambiente e Confindustria.
In merito agli sviluppi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), atteso in Europa entro il 30 aprile, Cingolani ha riferito che «lo stato di avanzamento del Piano è abbastanza positivo» ma che a preoccupare è piuttosto la messa a terra degli investimenti previsti: «Sull’attuale capacità di scaricare a terra queste iniziative» occorre lavorare attraverso una transizione burocratica che semplifichi e definisca le competenze per accompagnare quella ecologica, in grado di realizzare quanto pianificato.
«In Italia riusciamo a fare il 10% di quello che promettiamo ogni anno – commenta il ministro – se questo dovesse capitare con il Pnrr l’esito sarebbe catastrofico. Uno dei nodi, secondo Cingolani, è in un approccio troppo leguleio alla materia ambientale, e non solo, che porta ad avere grande attenzione agli appalti e ai controlli ex ante, senza poi avere un track record del risultato. «Sono una meteora e tornerò presto a fare le mie cose – continua Cingolani – ma prima vorrei dare al ministero una struttura tecnica e internazionale. Se non è internazionale non potrà andare a competere e se non sarà tecnica, e non solo legislativa, non saprà dare informazioni ai ministri che verranno dopo di me per prendere le giuste decisioni».
Una sfida tanto ampia cui, naturalmente, non può far fronte però il solo ministero della Transizione ecologica. «Ispra ha le competenze tecnico-scientifiche per poter rispondere alla sfida – risponde il direttore generale dell’Istituto, Alessandro Bratti – La scelta fino ad oggi è sempre stata quella di rendere Ispra un ente di ricerca separato dal ministero dell’ambiente. Continueremo a dare il nostro contributo per la piena realizzazione dei progetti connessi alla transizione ecologica». Disponibilità espressa anche dal presidente di Ispra ed Snpa Stefano Laporta: «Siamo pronti ad instaurare un dialogo con il ministro Cingolani. È necessario implementare il confronto tra gli enti e le amministrazioni pubbliche, superando lo steccato delle reciproche competenze. La sfida della transizione ecologica passa dal rafforzamento dell’amministrazione pubblica».
E a guadagnarci non sarebbe “solo” l’ambiente, ma in primis la salute umana: «Stiamo ricostruendo e rafforzando al massimo la sinergia tra salute e ambiente – sottolinea Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità – e lo dimostrano anche i programmi che si stanno sviluppando all’interno del piano».
Per realizzare queste opportunità occorre però uno scatto culturale da parte dell’intero Paese, che passi da cittadini e imprese e sia sostenuto con responsabilità dagli ambientalisti. La transizione ecologica non si realizza né con l’illusione dell’impatto zero né col mito di un’Italia che possa navigare nelle acque tempestose del XXI secolo affidandosi esclusivamente a una bucolica agricoltura o ai flussi turistici (come ha messo drammaticamente in evidenza la pandemia). Transizione ecologica significa unire la tutela ambientale a uno sviluppo socio-economico selettivo, che passa (anche) dagli impianti industriali necessari all’economia circolare a quelli alimentati da fonti rinnovabili. Entrambi non a “impatto zero”, ma con benefici a saldo positivo per la collettività.
C’è dunque urgente bisogno di trovare iter semplificati per ridurre le contestazioni territoriali di matrice Nimby – e soprattutto Nimto –, e studiare nuovi strumenti di condivisione (come il dibattito pubblico) senza che le istituzioni preposte fuggano poi alla responsabilità di scegliere: «Oltre alle semplificazioni autorizzative e ai colli di bottiglia normativi – osserva nel merito Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – dobbiamo fare in modo che con le migliaia di nuovi cantieri non si inauguri una stagione di guerre civili per le contestazioni sul territorio».
Necessità che sono state condivise appieno anche dal mondo imprenditoriale, dato che la preoccupazione per l’ipertrofia legislativa e la complessità burocratica è stata sottolineata anche dalla vice presidente nazionale di Confidustria Maria Cristina Piovesana: «Confidustria c’è nella sfida della transizione ecologica. Alla base degli interventi normativi deve però esserci un clima di fiducia, solo così potremo semplificare la giungla di norme e investire nell’innovazione tecnologica. Fare ‘presto e bene’ è corretto, ma non deve valere solo per il Pnrr, piuttosto diventare un ragionamento quotidiano».
L. A.