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Ispra, senza semplificazione normativa non c'è sviluppo sostenibile

Bratti: «Più è complessa una norma più aiuta il malaffare. Il collo di bottiglia è la lentezza del sistema autorizzativo»
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La parola d’ordine per dare gambe allo sviluppo sostenibile è una: semplificazione. A dirlo sono sia gli ambientalisti sia gli imprenditori di settore, ma ce l’ha ben chiaro anche lo stesso Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Intervistato sulle colonne dell’HuffPost, il direttore generale Alessandro Bratti è molto netto sul punto: «Lo dico come ex presidente della Commissione bicamerale di inchiesta sulle ecomafie, più è complessa una norma più aiuta il malaffare. Il crimine ambientale va contrastato con regole chiare, autodichiarazioni e forte controllo ex post».

Invece oggi una burocrazia elefantiaca e un crescente insieme di controlli bizantini si reggono in piedi in quanto alimentati da una produzione legislativa altrettanto sovrabbondante e contraddittoria.

«Il ministero della Transizione ecologica è assolutamente necessario – argomenta Bratti – Ma attenzione: c’è un collo di bottiglia che rischia di strozzare questo processo e io lo conosco bene perché ci faccio i conti tutti i giorni. È la lentezza del sistema autorizzativo. O risolviamo il problema o lo sprint si spegnerà sul nascere».

In quanto elemento fondamentale per i controlli ambientali nel Paese, il sistema Ispra-Snpa si fa paradossalmente attore di questa lentezza, ma le radici risalgono appunto alla cattiva produzione legislativa nel merito. Un esempio su tutti: la legge sull’End of waste per dare gambe all’economia circolare, nata a fine 2019 dopo un lunghissimo e controverso iter ma ancora piena di problemi. Lo stesso Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), ormai un anno fa, certificava che «la norma non pare rispondere in pieno a quella richiesta “di certezza delle regole” avanzata da più parti». Ma tant’è.

«Il ministero dell’Ambiente – osserva Bratti – è nato a metà degli anni Ottanta come controparte del ministero dell’Industria. Oggi quella contrapposizione non ha più senso. Un sistema industriale moderno se non incorpora la variante ambientale è finito, è fuori mercato». Eppure di fatto il legislatore finora ha fatto pochissimo per aprire la strada a questo ciclo virtuoso, promuovendo un approccio giustizialista che per paradosso frena troppo spesso gli imprenditori onesti e dunque lascia spazio a quelli senza tanti scrupoli.

Come documenta l’Istat nel suo rapporto (2018) I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure, con l’introduzione del Testo unico ambientale i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione.

Il contraltare sta nella moltitudine di impianti industriali indispensabili alla decarbonizzazione della nostra economia (come quelli legati alla produzione di energia rinnovabile) o alla migliore gestione dei flussi di materia che l’attraversano (impianti per il recupero di materia o di energia, ad esempio) che sono bloccati lungo lo Stivale. A mettere l’accento sulle conseguenze è stata di recente anche la Direzione investigativa antimafia, guardando al settore rifiuti: «La cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». Per iniziare la messa a terra della transizione ecologica, occorre ripartire da questa consapevolezza.

L. A. 

Redazione Greenreport

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