Il quinto più ricco della popolazione possiede 6,1 volte il reddito del quinto più povero
Istat, in Italia più povertà e disuguaglianza rispetto agli altri grandi Paesi europei
Il 27,3% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale, mentre in termini di disuguaglianza dei redditi l’Italia occupa la 21esima posizione su 25
[5 Dicembre 2019]
Nonostante l’economia italiana sia tornata pressoché stagnante – nel terzo trimestre del 2019 il nostro Paese è ultimo per crescita del Pil insieme a Germania e Austria (+0,1%), segnala oggi Eurostat – l’Istat informa che negli ultimi anni qualche piccolo miglioramento c’è stato per i redditi delle famiglie: guardando al livello mediano dei redditi, ovvero il livello di reddito che separa il numero di famiglie in due metà uguali, l’Istat documenta oggi che nel 2017 «il 50% delle famiglie residenti in Italia ha un reddito non superiore a 25.426 euro (2.120 euro al mese), con un incremento dell’1,3% in termini nominali (ma sostanzialmente invariato in termini di potere d’acquisto) rispetto al 2016, quando metà delle famiglie aveva percepito un reddito non superiore a 25.091 euro».
A questa pur minima crescita del reddito familiare corrisponde anche un modesto calo della percentuale di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, che nel 2018 «si riduce rispetto al 2017 (a 27,3% da 28,9%) per una minore incidenza di situazioni di grave deprivazione materiale». Una percentuale comunque «molto elevata», come sottolinea l’Istituto nazionale di statistica, e che si lega alla quota di individui a rischio povertà, che nel 2018 resta ferma al 20,3%: significa che circa 12 milioni e 230 mila individui hanno un reddito netto equivalente inferiore a 10.106 euro (842 euro al mese).
Allargando il campo d’osservazione emerge però che, complessivamente, la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 27,3% (in diminuzione rispetto al 28,9% del 2017): si tratta di un dato «inferiore a quello di Bulgaria (32,8%), Romania (32,5%), Grecia (31,8%), Lituania (28,3%), sebbene di gran lunga superiore a quello di paesi come Repubblica Ceca (12,2%), Slovenia (16,2%) e dei paesi europei più grandi come Francia (17,4%), Germania (18,7%) e Spagna (26,1)».
Un contesto dunque di grande sofferenza per i cittadini italiani rispetto a quelli dei principali partner europei, che si riflette anche nei dati relativi alla disuguaglianza dei redditi. Nel 2017, il valore stimato per l’Italia grazie all’indice di concentrazione di Gini – dove 0 rappresenta la perfetta equidistribuzione e 1 la massima concentrazione dei redditi – è «pari a 0,334, stabile rispetto al 2016 e più alto rispetto agli altri grandi Paesi europei (Francia con 0,285 e Germania con 0,311), tanto che «nella graduatoria crescente dei Paesi dell’Ue28 per i quali è disponibile l’indicatore (25 paesi), l’Italia occupa la ventunesima posizione».
Più nel dettaglio, l’Istat mostra che nel 2017 il quinto più ricco della popolazione italiana (il 20% di individui con i redditi più alti) possiede 6,1 volte il reddito del quinto più povero (il 20% di individui con i redditi più bassi).
Dunque oltre un quarto della popolazione italiana risulta a rischio di povertà o esclusione sociale, in un contesto di alta disuguaglianza dei redditi: un mix esplosivo per la tenuta del tessuto sociale, che insoddisfatto dalle risposte fornite dalla classe dirigente al crescente disagio ha evidentemente favorito l’ascesa dei populismi e sovranisti di casa nostra. Cavalcare la comprensibile paura di perdita di reddito e posizioni sociali non fornisce però una soluzione al problema, che appare affrontabile solo in termini di uno sviluppo che sia sostenibile in termini ambientali, sociali ed economici. Senza muoversi in questa direzioni le condizioni per il Paese tenderanno anzi a peggiorare progressivamente: si stima infatti che a causa della crisi climatica in corso l’Italia rischia di avere perdite di alcuni punti percentuali di Pil già a metà secolo e fino al 10% di Pil nella seconda metà del secolo, pari circa 130 miliardi di euro l’anno, con un aumento della disuguaglianza regionale stimato del 60% nella seconda metà del secolo.
L. A.