La Corte dei conti europea traccia un quadro in chiaroscuro per l’eolico offshore

«Necessaria una rapida diffusione su larga scala degli impianti nei paesi dell’Ue, il che richiede vasto spazio marittimo e circa 800 miliardi di euro»

[19 Settembre 2023]

Secondo l’Ipcc l’eolico – compreso quello offshore – rappresenta la tecnologia più promettente, subito dopo quella solare, per traguardare i necessari obiettivi di decarbonizzazione al 2030 a livello globale, ma una nuova relazione della Corte dei conti europea mette l’accento sui «risultati contrastati» ottenuti finora in Europa.

«L’Ue rischia di non realizzare le proprie ambizioni – dichiarano dalla Corte – mentre occorre fare molto di più per rendere le energie rinnovabili offshore sostenibili sotto il profilo socioeconomico e ambientale».

Secondo la Corte, l’espansione delle energie rinnovabili offshore racchiude in sé un “dilemma ecologico”: se da un lato queste fonti energetiche «sono essenziali» per la transizione verde dell’Ue, dall’altro il loro sviluppo «può nuocere» all’ambiente marino.

Benché la strategia Ue cerchi di conciliarle con la biodiversità, la Commissione europea «non ne ha stimato i potenziali effetti sull’ambiente, in termini fra l’altro di spostamenti di specie e cambiamenti nella struttura delle popolazioni, disponibilità del cibo o modelli migratori».

Come riassume Nikolaos Milionis, il membro della Corte responsabile dell’audit, la «rivoluzione blu dell’Ue non va perseguita a qualunque costo: le rinnovabili offshore non devono provocare alcun danno significativo sul piano sociale o ambientale».

Posto che nessuna tecnologia (rinnovabile e men che meno fossile, o nucleare) è a impatto zero, si tratta di bilanciare al meglio costi e benefici; per l’Italia, ad esempio, un pieno sviluppo della filiera eolica offshore potrebbe fare moltissimo per evitare l’emissione di gas climalteranti, e al contempo creare 1,3 mln di posti di lavoro.

Nel nostro Paese ci sono però molti i fattori che bloccano l’avanzata dell’eolico offshore in Italia: dalla lunghezza elefantiaca dei processi autorizzativi all’assenza del Piano di gestione degli spazi marittimi. Così, mentre altri Stati come Malta si stanno dando da fare per sfruttare l’energia del vento in mare, l’Italia rischia di rimanere indietro.

Sull’altro piatto della bilancia, la Corte dei conti europea sembra però mettere gli elementi socio-economici che rallentano l’accettazione sociale delle tecnologie offshore, più che danni ambientali.

La Corte mette infatti in evidenza i «conflitti con la pesca» che portano ad osteggiare le pale eoliche; la mancata pianificazione comune dei progetti tra quei Paesi Ue interessati a sviluppare parchi eolici offshore contigui; i rischi legati all’approvvigionamento delle materie prime critiche (anche se non va certo meglio con la cronica dipendenza dall’estero per i combustibili fossili); le lunghe procedure nazionali di autorizzazione.

Poste queste premesse, gli auditor della Corte ritengono difficili da raggiungere gli obiettivi delineati per il settore dall’Unione europea: «L’Ue ha fissato obiettivi ambiziosi, volendo raggiungere i 61 GW di capacità installata entro il 2030 e i 340 GW entro il 2050 quando ora sono appena 16 GW. Sarà quindi necessaria una rapida diffusione su larga scala degli impianti delle energie rinnovabili offshore nei paesi dell’Ue, il che richiede vasto spazio marittimo e circa 800 miliardi di euro, in gran parte provenienti da investimenti privati».