La cura per il lavoro italiano è nella green economy: 800mila posti entro il 2025

Un target alla portata realizzando 5 importanti obiettivi ambientali. Ronchi: «Arretrato il pregiudizio che porta a ritenere che ogni misura ambientale sia solo un costo economico»

[11 Aprile 2019]

Dalla fine del 2018 l’Italia è di nuovo precipitata in recessione, e il mondo del lavoro ha già iniziato a risentirne: secondo la rilevazione Istat pubblicata pochi giorni fa già a febbraio erano in calo gli occupati e in crescita il tasso di disoccupazione, e anche i numeri contenuti nel Def appena approvato dal Governo non lasciano per niente intravedere “un 2019 bellissimo”. Urge cambiare rapidamente rotta, con l’alternativa più credibile che rimane quella di investire in green economy per risalire la china: nello scenario presentato oggi dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in collaborazione con gli economisti di Cles srl, perseguire 5 importanti obiettivi ambientali potrebbe non solo migliorare la nostra qualità di vita e ridurre il nostro impatto sull’ecosistema, ma anche creare circa 800.000 nuovi posti di lavoro entro il 2025

Come mostra lo studio (in allegato la sintesi, ndr) gli obiettivi strategici da perseguire riguardano una più efficace riduzione dei consumi di energia di abitazioni, scuole e uffici, un forte aumento delle fonti energetiche rinnovabili, un più rapido cambiamento verso l’economia circolare, una migliore qualità delle città con un programma di rigenerazione urbana e infine una mobilità urbana più sostenibile, in modo da abbattere l’inquinamento e la congestione del traffico. In tutto si tratta di mettere in campo investimenti per 190,3 miliardi di euro, in grado di generare 799.973 unità di lavoro al 2025.

Dal punto di vista occupazionale gli ambiti più promettenti sono quelli legati alle fonti rinnovabili (+312.253 posti di lavoro) e all’economia circolare (+149.185), settori per i quali lo studio presentato oggi a Roma indica non solo i benefici ma anche gli strumenti per raggiungere i target prefissiti.

Per quanto riguarda le fonti pulite in primis servono interventi per rendere più efficaci le normative e le procedure esistenti, dalla necessità urgente di una norma sull’End of Waste per il biometano alla semplificazione dei meccanismi di sostegno (ad esempio sul Conto termico) e degli iter autorizzativi per la realizzazione degli impianti; si propone poi di istituire un Fondo nazionale per la transizione energetica che dovrà provvedere a rendere disponibili le risorse aggiuntive necessarie a promuovere gli investimenti nelle rinnovabili così come nell’efficienza energetica, alimentato da diverse fonti, dai proventi dell’Ets che ammontano a oltre mezzo miliardo di euro ai sussidi ambientalmente dannosi stimati dal ministero dell’Ambiente in circa 16 Mld€, fino all’introduzione di un sistema di carbon pricing efficace ed equo, utilizzando parte dei proventi anche per ridurre il prelievo sul lavoro.

Analizzando invece la necessaria spinta verso l’economia circolare lo studio sottolinea in modo ancor più rilevante l’urgenza di una svolta dal punto di vista normativo, a partire dal pacchetto di nuove direttive europee in materia di rifiuti entrato in vigore dal 4 luglio 2018 ma ancora non recepito in Italia; occorre poi favorire con semplificazioni normative la consistente realizzazione di nuovi impianti per l’economia circolare e gli adeguamenti di quelli esistenti, e da questo punto di vista è essenziale adeguare al più presto le norme sulla cessazione della qualifica di rifiuto (End of waste); lo studio suggerisce poi di istituire un’Agenzia per l’uso efficiente delle risorse, utilizzando infrastrutture e competenze già esistenti, supportare a livello locale e regionale lo sviluppo delle attività di riparazione e di leasing, e infine sostenere e diffondere l’utilizzo del Green public procurement (Gpp) per l’impiego di materiali e prodotti riciclati. In questo scenario – argomenta lo studio – i maggiori oneri derivati dall’aumento dei costi di investimento e di esercizio dovuti alla crescita delle quantità di rifiuti riciclate e al miglioramento della qualità delle materie prime seconde e dei prodotti riciclati sono positivamente compensati dai costi evitati per il loro smaltimento, dai risparmi di costi per le materie prime vergini e anche dai minori costi energetici del riciclo rispetto all’uso di materie vergini. Inoltre il miglioramento della qualità delle materie prime seconde e dei prodotti riciclati consente inoltre di spuntare migliori prezzi di mercato e quindi di migliorare i ricavi.

«Lo studio – conclude Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile ed ex ministro dell’Ambiente – documenta come sia arretrato il pregiudizio che porta a ritenere che ogni misura ambientale sia solo un costo economico e come, invece,servano misure ambientali efficaci per prevenire e ridurre costi crescenti generati dalla crisi climatica, da un modello lineare di economia, da città inquinate e congestionate. E come queste misure possono essere oggi anche una formidabile leva di nuovo sviluppo sostenibile e di nuova occupazione».