Monni: «Per noi è un asset strategico, veicolo di sviluppo per i territori locali»
La geotermia dalla Toscana all’Italia, a che punto è la transizione ecologica?
Della Vedova: «Le potenzialità le abbiamo, ma c’è un deficit culturale di cui anche noi siamo corresponsabili. Se fossimo stati più bravi a comunicare ora non avremmo così tanto terreno da recuperare»
[30 Maggio 2022]
Già oggi in Toscana una lampadina su tre si accende grazie al calore presente nel sottosuolo – la geotermia copre ogni anno circa il 30% della domanda di elettricità, oltre a fornire 384 GWht di energia termica ai teleriscaldamenti di 9 Comuni sede d’impianto –, e questa fonte rinnovabile è il principale strumento che abbiamo a disposizione per far fronte alla crisi climatica ed energetica in corso.
«Oggi più che mai è necessario evidenziare il ruolo della geotermia, che in Toscana è fondamentale – ha dichiarato l’assessora regionale all’Ambiente Monia Monni, aprendo il workshop La geotermia per la transizione ecologica, organizzato all’Università La Sapienza di Roma – Siamo chiamati a raddoppiare la produzione di energia da rinnovabili e quest’obiettivo vedrà nella geotermia il suo cuore pulsante. Per la Regione è un asset strategico, oltre che un veicolo di sviluppo per le comunità locali. La sfida della transizione si vince infatti creando proposte in armonia coi territori: investire nella geotermia significa investire sulla loro resilienza, renderli più vivibili e attrattivi. Per questo è fondamentale il rapporto col mondo della ricerca, con lo studio degli impatti ambientali che rappresenta una parte importante della risposta alle preoccupazioni della cittadinanza; preoccupazioni che devono trovare risposte trasparenti e rigorose. In Toscana l’abbiamo fatto pubblicando il recente studio InVetta, frutto di un’indagine epidemiologica senza precedenti sull’Amiata, che mostra l’assenza di impatti significativi sulla salute delle popolazioni derivanti dall’attività geotermoelettrica».
«Gli impatti ambientali della coltivazione geotermica – ha aggiunto Bruno Della Vedova, presidente dell’Unione geotermica italiana (Ugi) – sono sostenibili, limitati. È un impatto zero? No, perché l’impatto zero non esiste: non solo la geotermia, ma ogni persona ha un impatto ambientale. Certo, è necessaria la ricerca scientifica per continuare a migliorare le performance, ma se non si investe non possiamo migliorare. Se le potenzialità le abbiamo, perché siamo ancora fermi? Mancano una chiare visione e pianificazione energetica, serve un’armonizzazione coerente del quadro normativo».
Della Vedova, insieme alla dirigente CoSviG (Consorzio per lo sviluppo delle aree geotermiche) Loredana Torsello, ha partecipato alla tavola rotonda – moderata da Adele Manzella, primo ricercatore Cnr – che ha chiuso il workshop a La Sapienza.
«È importante che le popolazioni locali sentano la geotermia come una risorsa propria, beneficiandone direttamente: è questa l’idea che sta dietro alla nascita del CoSviG – ha esordito Torsello –, che lavora all’interno di un modello di sviluppo territoriale che punta a rispettare gli interessi di tutti gli stakeholder chiamati in causa, in un’ottica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica; in quest’ottica l’uso diretto del calore è un elemento essenziale per valorizzare ulteriormente la risorsa geotermica. Il quadro legislativo in cui operiamo è di assoluta tutela per i territori e le popolazioni: in Toscana c’è la legislazione sulla geotermia più stringente a livello internazionale, ma tutto è perfettibile. Abbiamo bisogno di rendere più efficiente e meno farraginoso questo contesto, perché come spesso accade nel nostro Paese può essere problematica la messa a terra».
Nel merito, Della Vedova ha riportato in particolare le difficoltà legate ai lunghi tempi autorizzativi, che scoraggiano un investitore che sa di dover attendere almeno dieci anni per iniziare a rientrare dell’investimento. In geotermia occorre spendere fino a 12 mln di euro per realizzare un primo pozzo esplorativo a 3mila metri, per poi magari scoprire che la risorsa cercata lì non c’è; altrove, come in Germania, esiste la possibilità di assicurarsi per coprire il 70-80% dei costi del primo pozzo non produttivo, limitando non poco i rischi.
«In Italia la filiera industriale c’è, all’estero lavora ma qui non riesce a partire – ha evidenziato il presidente Ugi – Abbiamo tutto, tranne una visione strategica del futuro energetico: serve la politica, con una visione a lungo termine, come servirebbe un’Autorità geotermica nazionale che si occupi del settore. Ma c’è anche un deficit culturale da affrontare, di cui tutti noi siamo corresponsabili: se fossimo stati più bravi a comunicare cos’è la geotermia ora non avremmo da recuperare così tanto terreno».
Basti osservare ad esempio il contesto maturato in Islanda, dove il mercato geotermico – partito in ritardo rispetto a quello italiano – è giocoforza piccolo (sull’isola si contano meno di 370 mila abitanti) ma molto motivato grazie al deciso supporto istituzionale: qui la geotermia soddisfa il 65% della domanda di energia primaria dell’intero Paese.
«Nelle imprese italiane della geotermia le competenze sono molto elevate, ma se i decisori politici non stabiliscono chiare strategie di lungo periodo perdiamo terreno a livello internazionale – ha proseguito Torsello – Serve una visione politica che si declini in atti amministrativi, perché in Italia abbiamo delle buone leggi ma vanno applicate. Gli impianti geotermici non si fanno perché le autorizzazioni non arrivano: è necessario ricostruire un centro di competenze forti che coinvolga tutti gli stakeholder di settore, altrimenti, senza una voce istituzionale autorevole che offra un punto di riferimento tramite messaggi chiari e univoci, in una cittadinanza disorientata i timori crescono e anche gli amministratori locali vanno in difficoltà: è una contraddizione che non riusciamo a risolvere».
Si torna dunque all’importanza di una migliore comunicazione sulla geotermia: «La dobbiamo fare tutti, in tutti i ruoli, anche noi ricercatori dato che spesso i cittadini hanno una fiducia maggiore nella voce della ricerca scientifica, per definizione super partes – ha concluso Manzella – Non a caso sono le Università che hanno contribuito alla raccolta dei dati e delle indicazioni emerse nel corso di questo workshop. Invito tutti i ricercatori a fare di più sulla comunicazione geotermica, facendo però attenzione alle modalità: anche quando comunichiamo il rischio a volte è non trasmettere messaggi chiari».