La politica dei rifiuti nelle province italiane, tra economia circolare e anatre zoppe
A livello locale le performance di raccolta differenziata aumentano prima di un’elezione che possa portare alla vittoria dell’amministratore uscente. E anche i risultati raggiunti dalle amministrazioni vicine contano
[11 Settembre 2020]
L’economia circolare è un modello di gestione delle risorse che abbraccia le azioni di cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche: il suo obbiettivo è ridurre le estrazioni di risorse non rinnovabili e gli scarti al minimo, se possibile valorizzandoli tramite riciclo. La parte più visibile – anche se minoritaria – di questi scarti è data dai rifiuti urbani, e di certo rappresenta la frazione più evidente all’occhio dell’elettore; spesso i rifiuti urbani sono sotto la luce dei riflettori per motivi politici o purtroppo di degrado.
Per analizzare la loro gestione, in ambito di ricerca economica è diventato consolidato l’uso di dati provinciali. Questo è dovuto a una duplice utilità. Poiché le province si occupano di raccordare le politiche di molti comuni, ci permette di guardare osservare economiche con una lente di ingrandimento, senza la dispersione dei dati comunali. Una logica che è stata premiata sin dall’introiezione della normativa europea sui rifiuti del 2008 (Direttiva 2008/98/EC).
Questo decentramento è stato preferito come direzione per motivi di capillarità ed efficienza. Tuttavia, la necessità di adattare le policy ambientali al contesto locale ha necessariamente collegato l’efficacia della gestione rifiuti con quello che è chiamato in gergo tecnico ciclo politico. Con questo termine intendiamo l’incremento di “prestazioni” politiche (non solo ambientali) prima di un voto che possa portare alla rielezione dell’amministratore in carica.
In gergo americano, il politico che non può essere rieletto viene chiamato “lame duck”, ovvero anatra zoppa. Il ciclo inizia il momento prima di prendere la “storta”, ovvero nel momento della rielezione. Per motivare gli elettori, il politico migliora le gestione esattamente prima della possibile rielezione: in un recente studio, è emersa la maggiore efficacia delle politiche di raccolta rifiuti prima di una rielezione.
Questo rivela la presenza di un ciclo politico, emerso in modo più evidente dopo la direttiva europea sui rifiuti. Il decentramento ha fatto appunto affidamento sulle logiche locali; inoltre, il risultato delle politiche ambientali risulta generalmente legato anche a quello delle province vicine.
In questo senso, la tendenza media è quella di massimizzare i risultati solo nel momento antecedente alla possibile rielezione, e senza uscire dagli schemi di vicinato. Questa tendenza al provincialismo e all’opportunismo può inficiare però gli obbiettivi di lungo periodo di un’economia circolare.
Per quanto un’azione correttiva verso la centralizzazione della gestione rifiuti sia potenzialmente una soluzione tramite standard comuni o linee guida nazionali, il contesto locale può sempre avanzare proteste. Per quanto campanilistico, ogni provincia ha sue caratteristiche. Ad esempio, Sassari è la prima provincia per dimensioni: conta oltre 7692,090 Km2 con 334,103 abitanti. La più piccola è Trieste con 212.5 Km2 e oltre 234,668 residenti.
Possiamo tuttavia fare delle distinzioni grazie ai dati. Come possiamo osservare dalla prima immagine, dal 2008 la quasi totalità delle province ha osservato un balzo in avanti in termini di riduzione dei rifiuti indifferenziati. Questo risultato è stato accompagnato da una riduzione generale dei rifiuti urbani prodotti a livello provinciale. Tuttavia come testimonia la seconda immagine, in altre aree – come quella della Capitale – il trend è stato inverso. In termini regionali, il Lazio sembra mediamente indietro rispetto alle vicine Toscana e Campania.
Per poter chiarire le differenze in termini di performance, possiamo fare riferimento all’ipotesi di Kuznets. Secondo il noto economista, la crescita economica può essere correlata con un miglioramento delle condizioni socio-economiche e ambientali; se in un primo momento ci aspettiamo di inquinare di più, la crescita impatta il volume di tasse ed in generale la qualità delle politiche ambientali. Quindi la relazione tra Pil e agenti inquinanti dovrebbe somigliare ad una “U” inversa. Per questo dobbiamo aspettarci in un primo momento una maggiore produzione in provincie più ricche. Tuttavia, è in esse che troviamo anche i migliori risultati in termini di riduzione e separazione (in particolare a Nord).
Nei casi in cui la crescita non è accompagnata da separazione o riduzione, l’azione pubblica non è stata capace di migliorare le “performance” ambientali. Non basta molta crescita per vedere differenze. Centro-Sud e Nord hanno raggiunto livelli di riduzione comparabili, con tassi di crescita differenti. Le provincie di Roma, Lecce, Caserta, Agrigento ma anche Bolzano rompono questa dinamica.
Fintanto che facciamo affidamento a principi di decentramento, possiamo contare sul rispetto delle realtà locali. Troveremo comunque evidenti anomalie di sistema, accompagnate da costi per tutta la collettività.