La rivoluzione (che non c’è) contro lo spreco alimentare
Oggi ricorre la V Giornata nazionale di prevenzione: secondo l’Ispra, per affrontare alla radice il problema dovremmo «focalizzare l’attenzione sull’importanza della autosufficienza alimentare e dello sviluppo coordinato di sistemi alimentari locali resilienti»
[5 Febbraio 2018]
Si celebra oggi la V Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, istituita per tenere alta l’attenzione contro un problema ambientale ed economico (oltre che un dramma sociale) che ha assunto ormai dimensioni drammatiche.
Come ricordano oggi l’Ispra e l’Arpat citando dati Fao, a livello globale vengono sprecate circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, di cui l’80% ancora consumabile. Di questo miliardo, 222 milioni sono le tonnellate di cibo che vengono sprecate nei Paesi industrializzati: una cifra che, da sola, sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Sub-sahariana. Inoltre, lo spreco alimentare è responsabile dell’emissione di 3,3 miliardi di tonnellate equivalenti di anidride carbonica emesse ogni anno in atmosfera (una quota inferiore solo a quella emessa dalle economia di Usa e Cina).
Si tratta, è bene sottolinearlo, di stime: la misura e la definizione stessa di spreco alimentare non sono univoche a livello internazionale, e anche limitandoci ad osservare quanto accade nel nostro Paese – dove allo spreco di cibo si affianca la presenza di 8,3 milioni di persone in povertà relativa, di cui circa 4,6 in povertà assoluta, ovvero con difficoltà di accesso al cibo – non è semplice offrire dati certi. Quelli disponibili sono però sufficienti per tracciare a grandi linee i confini del problema con cui abbiamo a che fare.
Il tentativo più ambizioso di descrivere, censire ed affrontare lo spreco alimentare in Italia arriva proprio dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che lo scorso novembre ha pubblicato il suo primo rapporto tecnico sul tema. Ne esce fuori un quadro che ha dell’incredibile: descrivendo lo spreco alimentare come «la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali e le capacità ecologiche», ne risulta che in Italia «almeno il 60% circa in energia alimentare della produzione primaria edibile destinata direttamente o indirettamente all’uomo potrebbe essere sprecata». In altre parole, ogni 100 calorie di alimenti destinati al consumo umano, 60 sono sprecate: più della metà.
Com’è possibile migliorare una performance tanto disastrosa? Una recente ricerca che ha coinvolto, nell’ambito del progetto Reduce, il ministero dell’Ambiente, il dipartimento di Scienze agro-alimentari di Bologna e Waste Watcher mostra come i consumatori finali possano ridurre il proprio spreco alimentare semplicemente osservandolo con attenzione tramite la compilazione di diari dedicati, i Waste notes. L’analisi di 430 diari compilati da altrettante famiglie italiane mostra come in un anno, in media, vengano gettati nell’umido 84 kg di cibo per ogni famiglia e 36 kg per ogni persona, in miglioramento rispetto ai 145 kg a famiglia e 63 kg a persona di rifiuti alimentari prodotti e registrati prima dell’indagine; anche a livello economico lo spreco risulta così ridotto a 250€ procapite/anno, contro i 360 originari. Un buon risultato.
Sperare però che bastino le buone pratiche individuali ad abbattere lo spreco alimentare è un’illusione, e a spiegare perché è ancora l’Ispra: secondo l’Istituto è necessario ragionare a tutt’altro livello, ossia «focalizzare l’attenzione sull’importanza della autosufficienza alimentare e dello sviluppo coordinato di sistemi alimentari locali resilienti». Per fare questo è al contempo necessario «che le istituzioni internazionali e nazionali favoriscano questi processi e contrastino le enormi concentrazioni delle compagnie internazionali nell’agroindustria».
Una rivoluzione rispetto allo stato attuale delle cose che, se attuata fino in fondo, cambierebbe e non poco anche il modo di consumare cui noi cittadini “moderni” siamo abituati. La condanna contro lo spreco alimentare è unanime, ma tutti saremmo davvero disposti a impegnarsi – con l’intensità suggerita dall’Ispra – per combatterlo sul serio? Perché la Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare non sia solo vuota retorica, proviamo almeno a porci la domanda trovando il coraggio di rispondere.