A causa dell’inflazione le famiglie hanno perso il 7% in due anni
Lavoro, i salari reali italiani continuano a calare mentre le imprese salvano i guadagni
Servono rinnovi contrattuali e politiche a salvaguardia dei redditi. Irpet: «Non determinerebbe un raffreddamento della crescita e garantirebbe un sistema più sostenibile»
[31 Gennaio 2024]
L’occupazione nel corso del 2023 è complessivamente cresciuta, a fronte di una rilevante perdita di potere d’acquisto dei salari.
Nel 2023 i salari dei lavoratori toscani avrebbero perso 2,1 punti di potere d’acquisto. Tale riduzione si somma a quella osservata nel corso del 2022 (-5,6%). Complessivamente quindi, per effetto dello shock inflazionistico, il salario reale dei lavoratori toscani si sarebbe contratto di circa 7 punti percentuali.
L’inflazione dei mesi scorsi ha fortemente penalizzato il fattore lavoro, più di quanto non sia accaduto al fattore capitale.
L’evidenza empirica disponibile a livello nazionale ci mostra infatti che, per ogni unità di prodotto venduto, le imprese hanno mantenuto inalterati i propri margini di guadagno, trasferendo sui prezzi di vendita i maggiori costi degli input.
I prezzi di vendita sono, quindi, cresciuti in linea con i costi variabili per unità di prodotto, ma hanno avuto una dinamica più accentuata rispetto al costo del lavoro per unità di prodotto.
In questo modo le imprese sono riuscite a difendere il proprio mark up, mentre i lavoratori, al contrario, hanno subito una significativa compressione reale del loro salario che, oltre a porre una questione di giustizia distributiva, rappresenta un freno alla ripartenza dell’economia.
Le previsioni per il prossimo biennio restano positive, ma deboli
Gli indicatori congiunturali sull’attività economica e sulle dinamiche del mercato del lavoro portano a ritenere che il prodotto interno lordo registrerà una dinamica piatta, o se positiva comunque debole, nel primo semestre del prossimo anno, per successivamente registrare nella parte finale del 2024 una moderata accelerazione in connessione con la ripresa del commercio internazionale e dell’allentamento della stretta monetaria.
Secondo le previsioni del nostro modello econometrico, il prodotto interno lordo toscano dovrebbe segnare un aumento in termini reali di +0,8% tanto nel 2024 che nel 2025. Si tratta di una crescita in linea con il dato nazionale (+0,7% nel 2024 e +1% nel 2025) e comunque connotata da margini non trascurabili di incertezza.
I rischi al ribasso insorgerebbero in caso di una evoluzione negativa delle tensioni geopolitiche che potrebbe compromettere il clima di fiducia di famiglie ed imprese, oltre a determinare aumenti nel prezzo del petrolio con effetti a cascata sul costo delle materie prime energetiche. I rischi al rialzo potrebbero invece derivare da una accelerazione della discesa dei tassi di interesse che anticiperebbe gli effetti positivi dell’allentamento della politica monetaria.
C’è uno spazio di manovra per restituire potere d’acquisto ai salari?
Dentro questi scenari, i salari reali continueranno a scendere anche nel 2024, se pure in modo più contenuto rispetto agli ultimi due anni, per stabilizzarsi nel 2025. Rispetto al periodo pre-inflazione nel 2025 il salario medio unitario dei lavoratori toscani sarà ancora 7 punti più basso di quanto non fosse nel 2021.
Cosa accadrebbe, in una stagione di rinnovi contrattuali, se i salari recuperassero pienamente, nell’arco dei prossimi due anni, il potere d’acquisto finora perso? Ce lo possiamo permettere?
Attraverso la nostra modellistica simuliamo il corrispondente scenario, per valutarne l’assenza di ricadute negative sulla crescita. Cosa si ricava? Le simulazioni, per i cui dati di dettaglio si rinvia al Rapporto, riguardano la Toscana.
I maggiori salari incrementerebbero il reddito disponibile delle famiglie spingendo verso l’alto i consumi. Ma tale dinamica, oltre a contribuire a un leggero incremento delle importazioni, sarebbe compensata, almeno in parte, dalla diminuzione delle esportazioni, su cui graverebbero i maggiori costi del lavoro. Le imprese perderebbero parte della loro competitività di prezzo e questo si risolverebbe in una riduzione del ritmo di espansione delle vendite all’estero.
Gli impulsi appena descritti – espansivi quelli che operano sul fronte del consumo e recessivi quelli sul fronte della bilancia commerciale – non avrebbero effetti significativi sul tasso di crescita del Pil, che resterebbe pressoché invariato (per la precisione, ci dovremmo attendere un decimo di punto di Pil in meno).
In altri termini, la dimensione della torta rimarrebbe sostanzialmente invariata, ma la sua distribuzione tornerebbe a compensare i salari per quanto hanno perso negli ultimi due anni.
Naturalmente questi risultati poggiano su due assunti che è giusto esplicitare. Il primo è che non vi sia – per effetto dell’aumento salariale – un innesco di un meccanismo inflattivo. Sembra ragionevole poterlo escludere, per l’assenza nel nostro Paese di meccanismi di indicizzazione che colleghino in modo automatico la dinamica dei salari ai prezzi.
Il secondo assunto è che all’aumento del reddito disponibile le famiglie decidano di mantenere invariato il saggio di risparmio. Anche in questo caso si tratta di un assunto ragionevole, nella considerazione che le banche centrali dovrebbero nei prossimi mesi ridurre i tassi di interesse, il che non renderebbe conveniente la scelta di risparmiare la maggiore disponibilità di reddito.
Infine una politica che facesse recuperare il potere d’acquisto dei salari, aumentando la dimensione dei consumi, porterebbe nuove entrate in termini di imposte indirette e dirette, in una misura tale da ridurre l’indebitamento netto della pubblica amministrazione di quasi un punto di Pil.
Il miglioramento dei conti pubblici gioverebbe alla solidità finanziaria del Paese, e parte delle maggiori entrate potrebbero essere utilizzate per una riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese. In particolare, a favore di quelle del manifatturiero che sono più esposte alla concorrenza nei mercati internazionali, e che potrebbero avere minori margini per sopportare un incremento dei costi del lavoro.
Lo schema interpretativo qui proposto suggerisce che il recupero dei salari nominali sia un passaggio non solo doveroso, ma persino utile: non determinerebbe un raffreddamento della crescita, e garantirebbe un sistema più sostenibile da un punto di vista sociale.
di Istituto regionale programmazione economica della Toscana (Irpet)