Le attività economiche italiane generano troppi rifiuti speciali, che non sappiamo come gestire

Per metà sono però scarti legati a migliori performance ambientali, ovvero provenienti da precedenti trattamenti di acque reflue e rifiuti (in gran parte dei casi finalizzati al riciclo): servono più impianti per recupero e smaltimento in sicurezza

[10 Settembre 2021]

L’Italia genera 154 milioni di tonnellate di rifiuti speciali all’anno, ma ha forti difficoltà a gestirle: sebbene le percentuali totali di avvio a riciclo (68,9%) siano incoraggianti, se ne producono ancora troppi e per alcune frazioni non esistono impianti di prossimità – in grado di recuperare materia o energia, o semplicemente smaltire in sicurezza questi scarti – mettendo in crisi intere catene produttive e i gli stessi progressi nazionali in campo ambientale.

Nel 2019, ad esempio, l’export di rifiuti speciali è cresciuto in un solo anno del 13,4%: si tratta di 3,9 mln ton, finiti prevalentemente in Germania (soprattutto rifiuti pericolosi) con l’Austria a seguire. A stupire è soprattutto la composizione dell’export, per il 64% costituto da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti” e “impianti di trattamento delle acque reflue”, gli scarti appunto dell’economia circolare che preferiamo non vedere e affidare ad altri Paesi, profumatamente pagati per gestirli al posto nostro.

Per indagare più a fondo queste criticità, il laboratorio Ref ricerche ha realizzato per Fise Assoambiente il dossier I rifiuti prodotti dalle attività economiche: tanta virtù… e qualche criticità da risolvere,che sarà presentato questo pomeriggio a Milano nel corso del “Il verde e il blu festival”.

Il dossier si concentra in particolare su una sottocategoria del totale di rifiuti speciali generati in Italia, osservando che «i rifiuti prodotti dalle attività economiche in Italia sono pari a circa 82 milioni di tonnellate» l’anno. Troppi.

In Italia la produzione dei rifiuti da attività economiche negli ultimi anni è cresciuta più del Pil: dal 2010-2018 il Pil italiano è cresciuto del 10%, mentre questi rifiuti sono aumentati del 23%. L’esatto contrario di quanto registrato in altri Paesi europei come Germania e Francia, in cui nello stesso periodo lo sviluppo del Pil (rispettivamente +31% e +18%) è stato di gran lunga superiore all’aumento dei rifiuti da attività economiche (rispettivamente +14% e +5%). Di fatto ad oggi nel nostro Paese per ogni 1.000 euro di Pil si producono 47 kg di questi rifiuti contro i 42 della Spagna, i 35 della Germania e i 33 della Francia. Ma come si gestiscono?

«Nel confronto europeo, l’Italia – spiega il dossier – si posiziona molto bene sul fronte del riciclo, con la leadership assoluta nella percentuale di recupero di materia che sfiora l’80% (79,3%) e molto vicina al primo posto assoluto della Francia (20%) per tasso di circolarità, ovvero la quota percentuale di materiale recuperato e reimmesso nell’economia sul totale di materia, con il 19,5%».

Anche nel caso degli scarti delle attività economiche, i rifiuti legati all’economia circolare sono predominanti: il 50% dei rifiuti speciali proviene da precedenti trattamenti di acque reflue e rifiuti (in gran parte dei casi finalizzati al riciclo) e il 30% dal manifatturiero.

L’incidenza così elevata della presenza di rifiuti speciali provenienti dal trattamento di rifiuti testimonia, da un lato, un modello di gestione che spinge sul recupero di materia, ma dall’altro su questo dato pesa «il quantitativo di rifiuti che entra come urbano negli impianti di trattamento meccanico biologico e da questi esce con la qualifica di speciale; una qualifica che consente, soprattutto alle Regioni prive di impiantistica, di poter superare i confini regionali, rinviando tuttavia la soluzione del problema di come garantire la chiusura del ciclo dei rifiuti».

Anche la gerarchia di gestione di questi rifiuti presenta molte lacune, perché dà paradossalmente precedenza allo smaltimento in discarica rispetto al recupero energetico, ad esempio tramite termovalorizzazione: «La metà dei rifiuti speciali provenienti da trattamento dei rifiuti finisce ancora in discarica. Resta residuale il recupero energetico, decisamente più sviluppato in altri Paesi del Vecchio continente», conferma il dossier.

«La gestione efficiente dei rifiuti delle attività economiche è un pezzo decisivo della competitività del nostro tessuto industriale – osserva nel merito Donato Berardi, direttore del laboratorio Ref ricerche –  Occorrono una strategia, regole chiare e percorsi autorizzativi semplificati, oltre a impianti finali in grado di assicurare uno sbocco agli scarti del riciclo e recuperare energia».

Particolarmente critica, ad esempio, è la filiera di gestione dei fanghi da depurazione. In Italia la produzione di fanghi (11,7 mln di tonnellate) è decisamente più elevata che in Germania dove se ne producono 3,5 mln ton, e il trend è in deciso aumento (+9% tra il 2018 e il 2019).

La principale forma di gestione resta la discarica (56%), ovvero la meno sostenibile: «Si attende da tempo un intervento normativo che chiarisca le possibilità di utilizzo in agricoltura, il recupero di nutrienti e la produzione di fertilizzanti e ogni altra forma di recupero di materia e quindi di energia, anche in vista dell’auspicato aumento delle attività di depurazione», sottolinea il dossier, eppure a crescere è invece la voce degli stoccaggi (18 mln di tonnellate), complice la carenza impiantistica del nostro Paese.

È chiaro dunque che senza una politica industriale in grado di sostenere concretamente la realizzazione di impianti per gestire i rifiuti speciali, e non solo i fanghi, i prossimi anni si preannunciano già in progressivo peggioramento della performance, dato che insieme alla ripresa del Pil si attende anche quella degli scarti.

«Lo sviluppo tecnologico richiesto dal percorso di transizione energetica verso le fonti rinnovabili, la decarbonizzazione e l’economia circolare – conclude Marco Steardo, vicepresidente Assoambiente – implica un potenziamento delle attività di riciclo e di estrazione delle materie prime critiche dai rifiuti, per ovviare alla mancanza di materie prime vergini, evitando di dipendere dall’estero, affinché la gestione dei rifiuti nel nostro Paese possa contribuire a creare crescita, valore e occupazione».