L’economia circolare basata sugli “impianti a freddo” non va: ecco come funzionano i Tmb
Ispra: in uscita ci sono rifiuti che per il 99% non possono essere avviati a riciclo meccanico, ma vengono indirizzati prevalentemente a discarica o incenerimento
[21 Dicembre 2023]
Nell’ultimo aggiornamento del rapporto nazionale sui rifiuti urbani, l’Ispra dedica ampio spazio al funzionamento dei cosiddetti “impianti a freddo”, ovvero gli impianti di trattamento meccanico-biologico (Tmb).
Da qui passa infatti il 30,1% dei rifiuti urbani generati annualmente, anche se solo come tappa intermedia.
«Il trattamento meccanico biologico – spiega l’Ispra – è infatti diffusamente utilizzato come forma di pretrattamento allo smaltimento in discarica o all’incenerimento con lo scopo, da una parte, di garantire le condizioni di stabilità biologica riducendo l’umidità e il volume dei rifiuti, dall’altra di incrementare il loro potere calorifico per rendere più efficiente il processo di combustione […] In molti casi gli impianti di trattamento meccanico biologico sono localizzati nello stesso sito in cui sono presenti anche discariche o inceneritori, costituendo vere e proprie piattaforme di trattamento».
È utile ricordare inoltre che l’articolo 7 del d.lgs. 36/2003, di recepimento della direttiva 99/31/CE e successive modificazioni, prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento e non più “tal quali”.
I Tmb rispondono anche a quest’esigenza, oltre a fornire una comoda scappatoia a quei territori con un’insufficiente dotazione impiantistica di prossimità per il recupero.
Transitando dai Tmb, i rifiuti urbani si trasformano in rifiuti speciali e possono essere liberamente affidati al mercato: lontano dagli occhi e lontano dal cuore dai comitati e politici locali che foraggiano le sindromi Nimby.
Nel 2022 in tutta Italia sono 132 i Tmb attivi. Complessivamente hanno trattato oltre 8,7 milioni di tonnellate di rifiuti: per l’81,5% rifiuti urbani indifferenziati (oltre 7,1 mln di tonnellate), per il 12,9 % rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani (poco più di 1 mln di tonnellate), per il 3,4% (quasi 300 mila tonnellate) da rifiuti speciali provenienti da comparti industriali e dal trattamento di altri rifiuti, per il 2,1% (oltre 187 mila tonnellate) da altre frazioni merceologiche di rifiuti urbani.
In uscita dai Tmb ci sono altri rifiuti, stavolta speciali: «I quantitativi di rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento meccanico biologico e trattamento meccanico, nell’anno 2022, sono complessivamente pari ad oltre 7,9 milioni di tonnellate», dichiara l’Ispra. Che fine fanno?
Il 42,2% del totale dei rifiuti prodotti dai Tmb, corrispondente a oltre 3,3 milioni di tonnellate, viene smaltito in discarica; il 25,2% va a termovalorizzazione; il 14% è destinato a ulteriore trattamento, ovvero a processi di biostabilizzazione e produzione/raffinazione di Css (Combustibile solido secondario); il 6,6% a coincenerimento presso impianti produttivi; il 3% a copertura di discarica; le quantità destinate al riciclo sono pari a circa 81 mila tonnellate (1% del totale prodotto, +0,1% sul 2021); all’estero vengono conferite infine più di 511 mila tonnellate dei rifiuti prodotti dai Tmb.
In altre parole il 99% dei rifiuti in uscita dai Tmb non può essere ad oggi avviato a riciclo. Sono in corso alcuni utili progetti di ricerca per incrementare l’avvio a riciclo di questi flussi, ma è evidente che – data la condizione di partenza e i limiti posti dalla fisica – non sia possibile attendersi miracoli.
Per far avanzare davvero l’economia circolare dei rifiuti urbani (senza dimenticare i rifiuti speciali, che sono il quintuplo) è dunque utile ridurre progressivamente il ruolo dei Tmb, destinando direttamente i rifiuti urbani a impianti di recupero energetico (o preferibilmente di riciclo chimico, o di ossidazione termica) di prossimità.
L. A.