La legge di Stabilità è stata varata, ma tra 8 giorni varrà già zero
Dal governo Renzi la risposta giusta alla domanda sbagliata
[23 Dicembre 2014]
Con 307 sì e 116 no, la Camera ha dato il definitivo via libera alla prima legge di Stabilità dell’era Renzi. È stato un parto lungo e difficile, ma alla fine poco doloroso: sarà che dalla montagna è uscito il proverbiale topolino, ma all’ultimo round sul provvedimento non è stata neanche posta la fiducia.
La legge, che rappresenta gli spazi di manovra economica scelti dal governo per il prossimo anno, si presenta come un documento complesso e straordinariamente corposo (quasi 600 pagine). Una consuetudine per una manovra di fine anno, ma di nuovo totalmente estraneo alla volontà di semplificazione burocratica di cui il premier Renzi si era fatto portavoce all’inizio del suo mandato.
Ma se è vuota la forma, a preoccupare maggiormente è la portata della sostanza. Nonostante le giravolte parlamentari cui la legge di Stabilità è stata sottoposta durante il proprio iter legislativo, il giudizio sulla capacità del provvedimento di creare crescita nel Paese è chiaro da più di un mese, e ha il peso dell’autorevolezza dell’Istat.
«Nel 2014 – scrivono dall’Istituto – si prevede una diminuzione del prodotto interno lordo (Pil) italiano pari allo 0,3% in termini reali, seguita da una crescita dello 0,5% nel 2015 e dell’1,0% nel 2016», e «i provvedimenti adottati [nella Legge di Stabilità 2015, ndr] sono previsti avere un impatto netto marginalmente positivo nel 2014 ed un effetto cumulativo netto nullo nel biennio successivo».
Dunque, tra 8 giorni e per i prossimi due anni la legge di Stabilità influirà sulla crescita del Pil italiano – l’obiettivo dichiarato dal primo ministro Renzi – con un più (o meno, fa lo stesso) zero per cento. Un po’ poco, effettivamente. L’esecutivo ha continuato a ribattere a queste illazioni con proprie valutazioni, come di sua facoltà, in una lotta di numeri con l’Istat su Pil e occupati che ha avuto insoliti picchi anche per un Paese litigioso come il nostro.
L’autorevolezza dell’Istituto nazionale di statistica non sembra però averne risentito più di tanto (mentre sulle voci di bilancio della legge c’è più di un dubbio) e ha il vantaggio di poggiare in questo caso su un assunto teorico molto semplice: senza investimenti, la crescita non riparte. La legge – è tornato recentemente a spiegare Danilo Barbi, segretario nazionale della Cgil – fa una scelta di fondo: riduce la spesa e gli investimenti pubblici sperando che una serie di politiche di incentivazione aumentino gli investimenti privati nazionali e esteri. E’ la scelta che noi abbiamo criticato, perché mette di nuovo nelle mani del mercato e delle imprese la possibilità o meno di avviare una fase di sviluppo. Secondo noi è una decisione che nasce da una analisi sbagliata della crisi. Il problema non è che ci sono pochi investimenti perché le imprese italiane pagano più tasse, la verità è che ci sono pochi investimenti perché c’è poca domanda».
Sarebbe dunque bugiardo e ingiusto affermare che legge di Stabilità del governo Renzi è un guscio sterile, che non porta novità. Semplicemente, dà la risposta giusta a una… domanda sbagliata. Il quesito giusto, con una ricchezza privata delle (poche, in realtà) famiglie italiane che arriva oggi alla mirabolante cifra di 4mila miliardi di euro, è come far ripartire la domanda, e gli investimenti. Possibilmente quelli giusti, ovvero quelli orientati ai criteri della sostenibilità sociale, economica e ambientale, perché degli altri possiamo pure fare a meno, visto dove ci hanno portato. Ma nelle legge di Stabilità si è rinunciato a ogni forma d’indirizzo industriale del genere (unico baluardo rimasto gli ecobonus per le ristrutturazioni energeticamente efficienti), sperando di rilanciare l’occupazione semplicemente riformando il mercato del lavoro con il Jobs Act, e il risultato è segnato. Tanta fatica per niente: tra 8 giorni si riparte da zero, e marzo vedremo che ne pensano a Bruxelles.