Già oggi si vendono in Iran e Singapore, ma non è la soluzione

L’impietoso vademecum dell’economista che compra i reni al mercato degli organi

Secondo il premio Nobel Gary Becker 11mila euro sarebbero la giusta ricompensa

[23 Gennaio 2014]

Ha suscitato grande scalpore la proposta lanciata da un premio Nobel per l’economia, Gary Becker, di favorire la nascita di un mercato legale degli organi umani – in particolare reni – per offrire «un chiaro rimedio alla crescente carenza di donatori». L’idea, è bene precisarlo, non è particolarmente nuova. Tanto da esserci già un menù con i vari prezzi à la carte. Nell’Iran “campione di democrazia” – come ricorda lo stesso autore nell’articolo scritto a quattro mani col collega Julio Elias e pubblicato sul Wall Street Journal –, ad esempio, comprare un rene costa circa 4mila dollari e (si precisa con una vena di soddisfazione) i tempi di attesa per ottenere un trapianto sono stati in gran parte eliminati.

Ma la Repubblica islamica non è l’unico caso virtuoso. Com’è possibile leggere in un recente rapporto del Comitato italiano per la bioetica sul traffico illegale di organi umani tra viventi, attualmente «i Paesi che hanno legalizzato e gestito la compravendita degli organi umani sono l’Iran (1988), limitatamente al rene e ai soli cittadini iraniani, e Singapore (2009) che consente l’acquisto anche ai cittadini stranieri».

È significativo che in questa ristrettissima cerchia compaia la città stato asiatica, considerata un paradiso per la libera impresa e posizionata infatti al secondo posto al mondo per libertà economica nella classifica stilata annualmente dallo stesso Wall Street Journal insieme alla Heritage foundation. Propugnando la sua idea sulle pagine del più importante quotidiano economico al mondo, Becker non ha infatti fatto altro che continuare con coerenza il suo percorso: dottorato con il neoliberista per antonomasia Milton Friedman, è stato poi premiato nel 1992 col Nobel proprio per «aver esteso il dominio dell’analisi microeconomica a un ampio raggio di comportamenti e interazioni umane, incluso il comportamento non legato al mercato». Come la donazione degli organi, appunto.

A onor del vero idee analoghe non sono diffuse soltanto all’interno delle elite del turboliberismo. La proposta originaria di Herman Daly per raggiungere un’economia di stato stazionario prevedeva ad esempio l’istituzione di licenze di nascita trasferibili, aprendo la vita umana al mercato. Per mantenere sotto controllo una crescita delle nascite che all’epoca sembrava inarrestabile (era il 1977), il grande economista ecologico propose di assegnare a ogni donna 2 licenze di nascita (o 1 a individuo), vendibili sul mercato suddivise in decimali. «Così – scriveva Daly – l’equità distributiva è ottenuta nella distribuzione originaria e l’efficienza allocativa è conseguente alla ridistribuzione di mercato». Questa è solo una dimostrazione di come nell’economia ecologica sia presente la dimensione di mercato, più di quanto molti si aspetterebbero (o sarebbero disposti ad ammettere), ma il contesto in cui la proposta di Daly si muoveva era profondamente diverso da quello di Becker. Il primo caso è quello di una soluzione estrema (ma necessariamente condivisa per poter funzionare) per garantire un futuro sostenibile all’umanità nel suo insieme – e soprattutto la sua parte più svantaggiata –, l’altro è certamente tragico ma con evidenti vantaggi per la fetta più ricca della popolazione.

Chi si pensa infatti sarebbe a presentarsi a un ospedale per chiedere che gli venga asportato un rene, dietro il magro corrispettivo di 15mila dollari (circa 11mila euro), come proposto da Becker&co? Di certo non chi di quei soldi può fare benissimo a meno. Il premio Nobel se ne rende benissimo conto ma, approfondendo la sua posizione, sembra non preoccuparsene più di tanto: si tratta semplicemente della legge di domanda e offerta, dopotutto.

Becker parte da difficoltà oggettive. Si stima che il 10% circa dei trapianti di reni al mondo attinga oggi dal traffico illegale. Al contempo, nei soli Usa 4.500 persone sono morte nel solo 2012 aspettando un trapianto di rene che non è arrivato in tempo per salvarle. Ma allungare la lista dei “donatori” di organi andando a pescare tra quella crescente dei disoccupati nei centri per l’impiego non sembra la soluzione migliore. Certamente non la più equa, andando a infierire in modo macabro su un modello di distribuzione della ricchezza che è la fonte di crescenti problemi (economici, sociali e ambientali, e di fatto avvallandolo). La proposta di Becker non è quella di un mostro, ma è perfettamente coerente all’interno di questo modello; chi respinge la prima dovrebbe rifiutare anche tutto il secondo, anziché cullarsi all’interno di un ribrezzo ipocrita.

La risposta per una soluzione alternativa potrebbe invece arrivare proprio dalla garanzia di maggiore uguaglianza come cemento per una più profonda coesione sociale e, dunque, un maggiore altruismo. Pionieristici studi di economia comportamentali sembrano confermare da tempo questa ipotesi: «Richard Titmuss (1970), il celebre sociologo inglese, è stato il primo – ricorda ad esempio l’economista Stefano Zamagni – a portare all’attenzione degli scienziati sociali il fatto che la promessa di un pagamento per la donazione di sangue diminuiva il numero delle donazioni e riduceva la qualità del sangue donato». Fortunatamente la nostra stessa natura umana non sembra favorire questo tipo di scambi. Trattare il corpo umano come negozio per i pezzi di ricambio non è dunque utile alla causa. Può andar bene per l’asettico homo oeconomicus dei classici libri di economia, ma non per un essere umano in carne, ossa e… organi.