L’Italia non è come la Grecia? Istat, investimenti pubblici -9% in un anno
Mazzucato: «Se ci sarà la Grexit preparatevi per l’exItalia il prossimo anno»
[1 Luglio 2015]
Nella trattativa europea sul futuro della Grecia, il ruolo dell’Italia è abbastanza definito: affannarsi nel dichiarare la distanza del Paese dai cugini ellenici. Prima il ministro dell’Economia, poi in prima linea il premier Renzi, si susseguono nel sottolineare come i nostri conti pubblici siano solidi, l’Italia fuori pericolo rispetto a una possibile Grexit. Al netto delle differenze che certamente esistono, in termini di rilevanza economica internazionale come di struttura produttiva, tra le tante similitudini il conto economico trimestrale delle Amministrazioni pubbliche diffuso oggi dall’Istat ha il merito di ricordarne uno in particolare: il crollo degli investimenti pubblici.
Nel primo trimestre 2015, le uscite totali delle amministrazioni pubbliche italiane sono diminuite dello 0,7% rispetto al corrispondente trimestre del 2014, e in particolare gli investimenti fissi lordi sono scivolati per l’ennesima volta, passando da 8.862 milioni di euro a 8.068. Un crollo del -9% che si traduce nell’incapacità dello Stato, piegato da una cattiva austerità, di guidare la ripresa economica del Paese.
Poco importa se, nello stesso documento, l’Istat rileva un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 5,6% del Pil mentre era del 6,0% nel primo trimestre 2014. Non è qui che si costruisce sviluppo. Come ha ben spiegato (di nuovo) l’economista Mariana Mazzucato oggi su la Repubblica, l’Italia deve trarre gli insegnamenti giusti dalla tragedia in corso in Grecia: «La competitività dell’Italia è scadente quasi quanto quella della Grecia, e fino a questo momento la strategia di investimenti è stata alquanto deficitaria: qualche misura pro forma sull’istruzione, tagli al settore pubblico e tanta attenzione a quello a cui i lavoratori devono rinunciare. Perciò, se ci sarà la Grexit – e l’Europa non si deciderà a portare nella stanza un vero dottore – preparatevi per l’exItalia il prossimo anno».
Il nodo degli investimenti mancanti giace sempre irrisolto, e finché l’Europa non si deciderà a scioglierlo non faremo che annaspare. È dal 2012 che studi dello stesso Fondo monetario internazionale certificano il fallimento (teorico, oltre che pratico) dell’austerità, dopo un’analisi più accurata dei moltiplicatori fiscali in gioco. Da almeno gli stessi anni economisti come Gustavo Piga vanno ripetendo, forti di qualificate ricerche, che «la componente della politica fiscale che funziona meglio sono, medaglia d’argento, gli investimenti pubblici e, medaglia d’oro, la spesa pubblica per consumi di beni e servizi», ma il risultato è ancora che dai primi tre mesi del 2014 a quelli del 2015 gli investimenti pubblici italiani sono indietreggiati del 9%. Non si tratta di incitare a scavare buche per poi riempirle, ma a effettuare investimenti strategici in economia circolare, efficienza energetica, rinnovabili. Investimenti che possano garantire un futuro, ma cui deliberatamente si rinuncia in nome dell’austerità.
Da questo punto di vista, quanto va accadendo in Italia è lo specchio della Grecia, solo a un livello (per il momento) meno doloroso. Per dirla col premio Nobel Paul Krugman, è sorprendente «che i leader europei non abbiano imparato niente da quello che è successo […] anche se il debito greco venisse ristrutturato oltre l’immaginabile e al referendum del 5 luglio gli elettori votassero a favore delle richieste della troika, il paese resterebbe comunque in depressione». Senza abbandonare l’attuale visione distorta dell’austerità, e senza rilanciare gli investimenti giusti, un’economia non riparte – e certo non lo fa su binari più sostenibili. Ecco che la partita che si sta giocando in Grecia riguarda anche noi, e molto da vicino, ma si preferisce non accettarlo.