L’Italia si sta allontanando dagli obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile al 2030
Nell’ultimo anno il 42,5% delle misure Istat è in miglioramento, mentre salgono al 37% quelle in peggioramento
[10 Agosto 2021]
L’Agenda Onu al 2030, che l’Italia si è impegnata a rispettare sei anni fa, è la bussola internazionale per guidare lo sviluppo sostenibile. Ma il nostro Paese non sta affatto rispettando la tabella di marcia, e anzi per più target ha innestato la retro, come documenta il Rapporto sui Sustainable development goals (Sdgs) pubblicato ieri dall’Istat.
Il rapporto offre le misure statistiche finalizzate al monitoraggio dell’Agenda 2030 per il nostro Paese, e dall’aggiornamento al 2020 risulta che «rispetto all’anno precedente scende al 42,5% la quota di misure in miglioramento mentre sale al 37,0% quella di misure in peggioramento».
L’impatto della pandemia è evidente, ad esempio su dimensioni come la povertà: oltre 5,6 milioni di italiani (il 9,4%) risultano ormai in condizioni di povertà assoluta.
Restano forti anche le disuguaglianze a livello territoriale, con le regioni del nord-est che risultano in una posizione più avanzata sull’Agenda Onu rispetto a quelle meridionali e alle isole. In particolare, nelle province autonome di Trento e Bolzano più del 40% degli indicatori colloca il territorio nel quinto quintile (quello più virtuoso), mentre in Sicilia il 56,8% si posiziona nel primo quintile; nelle regioni centrali emerge invece la posizione meno favorevole del Lazio, che presenta un numero più elevato di indicatori nel secondo quintile (32,7%) rispetto a Marche, Toscana e Umbria, caratterizzate da una prevalenza di indicatori nel terzo e quarto quintile.
Riuscirà il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a riportare sulla giusta carreggiata il Paese? In teoria ci sono buone premesse. Un’analisi capillare dell’Istat ha portato a classificare ciascun indicatore Sdg in corrispondenza di una delle 6 missioni del Pnrr:, il 9,4% sono associabili alla Missione 1 sulla digitalizzazione, il 37,1% alla Missione 2 sulla transizione ecologica, il 5,4% alla Missione 3 sulle infrastrutture sostenibili, il 13,8% alla Missione 4 sull’istruzione e la ricerca, il 21,2% alla Missione 5 sulla coesione e inclusione e il 13,1% alla Missione 6 sulla salute.
Tutto però dipenderà dalla concreta declinazione del Pnrr, comprese le tre tipologie di riforme previste: orizzontali, che riguardano la giustizia e la PA; abilitanti, riferite alla semplificazione e razionalizzazione della legislazione e alla promozione della concorrenza; di accompagnamento, che sono di diversa natura e vanno dalla riforma fiscale alla legge sul consumo di suolo.
Una valutazione in merito alle ricadute del Piano è dunque prematura, ma resta la certezza del tempo perso finora. E non solo a causa della pandemia. «Abbiamo perso 5 anni su 15 per attuare l’Agenda 2030. L’accordo del 2015 non è stato preso abbastanza seriamente dalla classe dirigente, dalla politica e dall’opinione pubblica», commentava nel merito – lo scorso ottobre – l’ormai ex portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) Enrico Giovannini. Ma anche adesso che Giovannini siede alla guida del ministero delle Infrastrutture nel Governo Draghi, la transizione ecologica continua ad andare a passo di lumaca.