Mercurio nel fiume Paglia, anche la commissione Ecomafie “assolve” la geotermia
«Si deve ritenere che non vi siano prove di un concorso di tali attività all’inquinamento da mercurio del fiume Paglia». Le cause sono da ricercarsi nell’attività mineraria e metallurgica condotta per secoli nell’area del monte Amiata
[25 Novembre 2020]
Dopo le prime indicazioni arrivate a febbraio, dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (ovvero la commissione Ecomafie) è arrivato il verdetto definitivo: la geotermia non c’entra con il pur presente inquinamento da mercurio nel fiume Paglia, le cause sono piuttosto da ricercarsi nell’attività mineraria e metallurgica condotta nei decenni e nei secoli scorsi alle pendici del monte Amiata.
Dopo varie missioni e sopralluoghi in Umbria e nel territorio del Monte Amiata, insieme ad acquisizioni e analisi di documenti, la commissione Ecomafie ha terminato la relazione sulla contaminazione da mercurio del fiume Paglia (relatori: Chiara Braga, Renata Polverini, Stefano Vignaroli) e l’ha trasmessa ai presidenti delle Camere.
Da quanto emerso «non vi sono, allo stato attuale delle conoscenze, situazioni che facciano pensare ad un rischio immediato per la popolazione, in particolare in considerazione della forma stabile assunta dal mercurio presente nell’ambiente. Vi sono tuttavia casi di trasferimento alla biosfera con potenziali contenuti anomali di mercurio nei pesci, mentre non vi sono evidenze di presenza di mercurio nei vegetali della zona».
Ciò non toglie che attualmente il flusso di mercurio lungo il Paglia venga stimato in circa undici chilogrammi per anno: risulta presente nell’ambiente in forma insolubile e di particolato, quindi non nelle acque ma su sedimenti dei fiumi e nel suolo. Secondo le informazioni e gli studi scientifici dell’università di Firenze acquisiti dalla Commissione, attraverso il corso del fiume Paglia l’inquinante ha raggiunto anche il Tevere, in qualità di corso d’acqua recettore, e da qui potenzialmente il mar Tirreno.
Ma da dove arriva tutto questo mercurio? Nel suo lavoro la commissione sottolinea che «nell’area del monte Amiata le miniere esaurite di cinabro, minerale da cui si ricavava il mercurio, e la sua stessa lavorazione, attiva per secoli fino al 1980, rappresentano le fonti di tale inquinamento. Nella zona, che da sola generava oltre l’11% della produzione mondiale di mercurio, l’attività mineraria e metallurgica potrebbe aver prodotto nel corso dei decenni fino a trentamila tonnellate di emissioni e residui di mercurio. La Regione Toscana ha svolto attività di bonifica ma su questo argomento si sconta uno scarso coordinamento tra normativa mineraria e normativa ambientale». Soprattutto, dalle indagini della Commissione è emerso come «la contaminazione sia diffusa e difficilmente risolvibile tramite interventi di bonifica».
Nel corso del lavoro di approfondimento, dalla commissione sottolineano di aver preso in considerazione anche la questione della geotermia nell’area dell’Amiata, arrivando a conclusioni chiare (peraltro le stesse già emerse nel corso di studi scientifici in materia): «Sulla base delle acquisizioni si deve ritenere che non vi siano prove di un concorso di tali attività all’inquinamento da mercurio del fiume Paglia, oggetto specifico dell’inchiesta della Commissione. Nondimeno, in termini più generali, la Commissione raccomanda che l’impatto ambientale di queste attività sia oggetto concorrente di ulteriore costante esame da parte delle autorità pubbliche, nel rispetto del principio di precauzione anche in vista dell’eventuale ampliamento dello sfruttamento delle potenzialità produttive dell’area dell’Amiata».
Chiarite le cause dell’inquinamento da mercurio, dalla commissione arrivano anche alcune indicazioni su che fare adesso: «Si afferma in primo luogo la necessità di condurre monitoraggi e studi sistematici sulle matrici ambientali, la fauna e la flora per la verifica della penetrazione del mercurio sia negli ecosistemi, sia soprattutto nelle catene alimentari. È inoltre necessaria l’estensione del monitoraggio alle aree costiere e marine potenzialmente coinvolte. In tali attività, raccomandate in base al principio di precauzione e in un’ottica di minimizzazione del rischio, è necessario che le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente di Toscana, Umbria e Lazio, già impegnate in monitoraggi, siano accompagnate dall’intero Sistema nazionale di protezione ambientale. La Commissione ritiene inoltre necessario che il ministero dell’Ambiente assuma un’iniziativa su scala nazionale relativa al monitoraggio del fenomeno della contaminazione da mercurio e un ruolo maggiormente attivo rispetto alla condizione di inquinamento diffuso. La relazione della Commissione si conclude inoltre evidenziando come tale situazione di contaminazione possa essere l’occasione di esame tecnico-giuridico delle norme che disciplinano l’attività mineraria al fine di conciliarle efficacemente con quelle in materia di tutela dell’ambiente».