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I risultati del rapporto Ue “Eco-Innovation Scoreboard” spiegati

Migliora l'eco-innovazione italiana, ma il Paese è ancora decimo in Europa

Rimangono barriere economico-strutturali, nell’istruzione e nel mercato del lavoro
 |  Green economy

Il tema dell'eco-innovazione ha recentemente catturato l’attenzione di accademici e policy maker quale strumento che permetterebbe non solo una più rapida ripresa dalla crisi economica - che ha investito le economie occidentali alla fine del primo decennio degli anni 2000 - ma anche il raggiungimento di quegli obiettivi di politica ambientale, legati al cambiamento climatico e all’eccessivo sfruttamento delle risorse, che sono oggi centrali sia a livello nazionale che sovranazionale.

Con il termine eco-innovazione si indica l’introduzione di un nuovo prodotto o processo produttivo o ancora sistema gestionale, che non solo è in grado di migliorare gli impatti ambientali di un’attività economica ma permette contestualmente un miglioramento delle performance economiche dell’impresa o dell’impianto che la introduce. I benefici a livello di singola attività produttiva si estendono quindi al livello aggregato, dove l'eco-innovazione sembra essere la chiave per il raggiungimento di una crescita economica sostenibile.

Data la rilevanza di questo tema, l’Unione Europea ha lanciato alla fine del 2011 l’Eco-innovation Action Plan (Eco-AP, COM/2011/0899) che, da un lato, ha formalizzato quelle che sono le azioni da intraprendere per l’incentivazione alla ricerca e all’adozione di questo tipo di innovazione e, dall’altro, ha stabilito l’utilizzo dell’Eco-innovation Scoreboard quale indicatore sulla base del quale monitorare e rivedere le azioni intraprese sia dagli Stati membri che dall’Unione stessa. L’Eco-Innovation Scoreboard è elaborato annualmente dalla piattaforma europea Eco-Innovation Observatory che si propone come mezzo di raccolta e di diffusione di informazioni sullo stato dell’adozione di questo tipo di tecnologie in Europa e che si occupa della redazione dei report sulle performance di eco-innovazione degli Stati membri.

La redazione del profilo italiano relativo al periodo 2014-2015 è stata curata, in collaborazione con l’Osservatorio, da Massimiliano Mazzanti, Claudia Ghisetti e Marianna Gilli, ricercatori afferenti al consorzio interuniversitario Seeds. Il rapporto si focalizza sia sulle performance dell’Eco-Innovation Scoreboard relative all’anno in questione che sull’analisi di alcune realtà, tutte italiane, di eco-innovazione. Infine, è presente anche un’analisi delle barriere allo sviluppo e all’adozione di questi processi innovativi.

Il posizionamento relativo dell’Italia rispetto al resto degli Stati membri è presentato in figura 1 (a fianco), dove sono rappresentati i valori dell’Eco-innovation Scoreboard per tutta l’Unione. Nel 2015, l’Italia si colloca al di sopra della media europea ma ancora in decima posizione in una classifica che vede capolista la Danimarca; rispetto al report precedente (2013) che vedeva l’Italia collocata ben al di sotto della media dell’Unione, il miglioramento nelle performance di eco-innovazione è stato calcolato in 20.6 punti.

Le aree che hanno maggiormente beneficiato dell’incremento in eco-innovazione sono state quelle della gestione dei rifiuti e del trasporto sostenibile mentre le aree che sono risultate essere maggiormente in difficoltà sono quelle della Ricerca&Sviluppo. Secondo il rapporto dell’Osservatorio, in questo settore, gli investimenti sembrano essere sostanzialmente inferiori alla media europea sia per il settore privato (1.29% in Italia contro il 2.03% medio in Europa) che per il settore pubblico, dove la quota di investimenti in ricerca ambientale rappresenta il 6.5% dell’intera spesa pubblica.

Nel settore della gestione dei rifiuti è segnalato un forte incremento nella raccolta differenziata e nel riciclaggio di diversi materiali (dal settore tessile alle batterie); tra le molte, un’iniziativa di spicco è l’adesione di 24 impianti italiani a Weelabex, un progetto condotto a livello europeo il cui obiettivo è la creazione di regole e standard per la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). Affine a questo settore, è anche lo sviluppo della metodologia Romeo (Recovery of metals by hydrometallurgy) da parte di Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile) che ha lo scopo di recuperare materie prime di alto valore (oro, argento, stagno, rame) dai Raee.

Nel settore dei trasporti, le innovazioni coinvolgono più che altro i trasporti privati. Le vendite di veicoli alimentati da fonti energetiche alternative, ha visto un incremento del 15.3% rispetto al 2013. Inoltre, in base al DM 10 ottobre 2014, la produzione e l’uso di carburanti dai rifiuti e residui biologici sono incentivati. Relativamente a questo aspetto, nel settore dei carburanti è tutta italiana l’introduzione del green diesel, risultato di oltre 10 anni di studio e sviluppo della tecnologia Ecofining™, presso gli stabilimenti Eni di Porto Marghera (Venezia). Questa nuova tecnologia permette l’idrogenazione di vari tipi di olii vegetali ottenendo cosi un carburante pienamente compatibile con quello fossile a cui è miscelato, permettendo così una riduzione dell’inquinamento dell’aria.

Tra le principali barriere all’adozione di eco-innovazione, rilevanti sono quelle economico-strutturali e quelle legate all’istruzione e al mercato del lavoro. Relativamente alle prime, si registra ancora una difficoltà nell’instaurare una vera e propria competizione in quei mercati che sono stati privatizzati; spesso sia la regolamentazione sia i costi di utilizzo della rete rendono difficoltoso per le nuove imprese entrare nel mercato. Collegato a questo primo aspetto, è importate anche considerare che il tessuto imprenditoriale italiano è costituito per la maggior parte di piccole e medie imprese che per definizione hanno un più difficoltoso accesso al credito (il rischio per i finanziatori può essere infatti molto più alto) e la cui scala produttiva può rendere difficile il sostenimento degli elevati costi collegati alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e processi.

Il secondo grande freno alla crescita e allo sviluppo di eco-innovazione è individuato nella mancanza di competenze adeguate tra il capitale umano. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel 2015 la percentuale di persone tra i 25 e i 64 anni con una laurea magistrale era del 13%, mentre meno del 1% di questi era in possesso di un dottorato di ricerca, specialmente nel campo della scienza e della tecnologia. Di conseguenza, la proporzione di ricercatori che lavorano nel Paese (sia nel settore privato che nelle università) è molto bassa e al di sotto degli standard prevalenti negli altri paesi. Inoltre, l’Ocse ha messo in luce come molti giovani italiani con un’istruzione terziaria preferiscano perseguire una carriera all’estero.

In conclusione, il profilo dell'eco-innovazione in Italia è tutto sommato in linea con la media europea ma ci sono molti potenziali spazi per un miglioramento. Sembrerebbe necessario porre maggiore attenzione a quelle che sono le caratteristiche strutturali del tessuto industriale italiano e rendere il Paese più appetibile anche dal punto di vista della ricerca, affinché i casi di successo che emergono da questo report non rimangano che dei fortunati eventi isolati.

Marianna Gilli

Greenreport conta, oltre che su una propria redazione giornalistica formata sulle tematiche ambientali, anche su collaboratori specializzati nei singoli specifici settori (acqua, aria, rifiuti, energia, trasporti e mobilità parchi e aree protette, ecc….), nonché su una rete capillare di fornitori di notizie, ovvero di vere e proprie «antenne» sul territorio.