Migrazioni: chi vivrà e lavorerà nell’Unione europea nel 2060?

Un’Italia sempre più vecchia che sta sbagliando completamente l’analisi del futuro che ci aspetta

[4 Giugno 2019]

Prevedere il futuro è sempre molto rischioso ma i trend demografici ci possono dare molte solide indicazioni ed è proprio quel che fa il nuovo rapporto “Demographic Scenarios for the EU – Migration, Population and Education”, pubblicato dal Joint research centre (Jrc) della Commissione Ue e dell’International institute for applied systems analysis (Iiasa), che fornisce uno sguardo sul futuro dell’Unione europea, facendo emergere un quadro problematico ma che non è certo quello a foschissime tinte dipinto da esponenti dalla neodestra europea come Matteo Salvini.

Il rapporto, analizzando fattori quali la migrazione, i livelli di istruzione e la partecipazione alla forza lavoro va oltre la tradizionale analisi demografica per fornire una serie di scenari che rivelano come questi fattori possano modellare la futura popolazione e il mercato del lavoro dell’Ue, Ne emerge che «Grazie ai progressi della medicina e alla qualità della vita, gli europei possono aspettarsi vite più lunghe, più sane e più attive. L’aspettativa di vita media alla nascita nell’Ue è ora di circa 81 anni – 9 anni in più rispetto alla media globale – e si prevede che cresca di due anni ogni decennio. Questa tendenza significa anche che entro il 2060 oltre il 30% della popolazione dell’Ue avrà più di 65 anni, rispetto al 19% di oggi».

Inoltte, la forza lavoro europea in futuro sarà ancora più istruita: il 59% avrà un’istruzione post-secondaria rispetto al 35% di oggi. Ma Jrc e Iiasa avvertono: «Benché meglio istruita, la futura forza lavoro dell’Ue sarà più piccola. Ciò significa che in futuro i lavoratori europei dovranno sostenere più persone a carico, sottoponendo i sistemi sociali dell’UE a una maggiore pressione».

Dall’analisi dei possibili scenari per migliorare il rapporto di dipendenza e quindi la sostenibilità soiale dell’Ue, emerge un quadro chiaro: per alleviare l’onere sui lavoratori dipendenti occorre aumentare la partecipazione alla forza lavoro, «in altre parole garantire che una parte più consistente della popolazione in età lavorativa sia effettivamente occupata».

Vista dall’Italia del governo del cambiamento in crisi, della recessione e dei migranti pagati 2 euro all’ora sembra fantascienza, ma il rapporto sottolinea che «Se tutti gli Stati membri dell’Ue raggiungessero i tassi di partecipazione della forza lavoro di quelli con le migliori prestazioni, il rapporto di dipendenza nel 2060 potrebbe rimanere lo stesso di oggi«.  E qui arriva un’affermazione che rappresenta un vero problema politico per Salvini e i suoi amici e camerati sovranisti anti-immigrati: «Ottenere una quota più elevata della popolazione nel mondo del lavoro è essenziale perché né l’immigrazione né una maggiore fertilità sarebbero sufficienti per affrontare le prossime sfide. L’immigrazione può aumentare la popolazione e la forza lavoro, ma non può sostanzialmente rallentare l’invecchiamento e ha solo un effetto limitato sul miglioramento del rapporto di dipendenza».

La realtà – non solo climatica – è molto più complessa delle battute che si possono dire senza contraddittorio in trasmissioni come “L’Arena” di Giletti sporattutto se in un rapporto zeppo di dati statistici si legge: «In effetti, mantenere costante l’immigrazione e migliorare l’integrazione degli immigrati per aumentare la partecipazione della forza lavoro al livello dei cittadini dell’Ue produrrebbe gli stessi benefici per il rapporto di dipendenza raddoppiando il loro numero.Allo stesso modo, l’aumento dei tassi di fertilità aumenterebbe la dimensione della popolazione e rallenterebbe l’invecchiamento nel lungo periodo, ma esacerberebbe i rapporti di dipendenza entro il 2060».

Il problema di un’Italia sempre più vecchia e con sempre più giovani che migrano da un Paese che non vuole i migranti e è che «La mobilità all’interno dell’Ue è un altro fattore chiave per i futuri dati demografici dell’Ue, in particolare i movimenti verso ovest. Alcuni Paesi dell’Europa orientale e meridionale hanno già registrato una marcata diminuzione della popolazione. Se la tendenza continua, alcuni potrebbero vedere la loro popolazione ridursi ulteriormente entro il 2060». Fra questi c’è l’Italia, uno dei Paesi più anziani del mondo e il rapporto spiega che «L’emigrazione delle persone in età lavorativa porta anche ad un invecchiamento accelerato della popolazione e alla perdita di lavoratori per lo più qualificati, aumentando così l’onere per i sistemi di sicurezza sociale». Poi qualcuno va in televisione e sui palchi dei comizi a raccontare la favola nera di una realtà alternativa alla quale credono più di un terzo degli elettori italiani. Ma il rapporto analizza il quadro globale e non si nasconde i problemi; la crescita della popolazione mondiale continuerà, soprattutto in Africa e in Asia e dà un consiglio a quelli dell’”Aiutiamoli a casa loro”: «Poiché l’educazione delle ragazze ha il legame più forte e coerente con la minore fertilità, lo sviluppo in espansione e l’educazione delle ragazze in Africa è altamente significativa per le dimensioni della futura popolazione mondiale. Se l’espansione dell’istruzione continua come negli ultimi anni, nel 2060 la popolazione mondiale raggiungerà i 9,6 miliardi di persone». Un consiglio che però rischia di non trovare orecchie attente tra chi ha fatto del disprezzo per i diritti delle donne e per la cultura una bandiera politica.

Gli autori del rapporto sottolineano che «Mentre questi cambiamenti possono sembrare scoraggianti, non pongono problemi irrisolvibili alle nostre società. L’invecchiamento della popolazione avviene con una popolazione più sana e attiva che è in grado di condurre vite produttive, attive e piacevoli oltre i 65 anni. L’aumento della partecipazione alla forza lavoro in generale, anche di coloro che hanno più di 65 anni e tra gli immigrati extracomunitari, può stabilizzare le dimensioni della forza lavoro e ridurre l’onere della dipendenza. Inoltre, una forza lavoro con livelli di istruzione più alti ha maggiori probabilità di essere in grado di sfruttare i vantaggi dell’automazione e dell’intelligenza artificiale e di adattarsi a un mondo del  lavoro in evoluzione».

La ricetta proposta è il contrario di quella sventolata nelle piazze e sui social media dalle neodestre: «Rafforzare gli sforzi già intrapresi dall’Ue per promuovere la coesione economica e sociale tra i paesi dell’Ue può rallentare l’emigrazione e facilitare la migrazione di ritorno verso i paesi dell’Europa orientale e meridionale. Gli sforzi dell’Ue per aumentare i livelli di occupazione e i tassi di attività sono già in corso. Dalla metà del 2014, l’Ue ha creato circa 13,4 milioni di posti di lavoro. Con circa 241 milioni di donne e uomini nel mondo del lavoro, l’occupazione nell’Ue ha raggiunto livelli record nel primo trimestre del 2019».

La Commissione europea ritiene che «L’ulteriore attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali sia fondamentale per continuare a migliorare le condizioni di vita e di lavoro in tutta l’Ue e per aumentare l’integrazione di tutte le parti della società nel mercato del lavoro».

Domani, nell’ambito delle iniziative proposte per il nuovo semestre europeo,  verranno presentate le raccomandazioni specifiche per Paese che guideranno gli Stati membri dell’Ue verso ulteriori riforme e decisioni programmatiche per i fondi di coesione nel bilancio UE 2021-2027. Bisognerebbe capire come il nostro governo in eterna campagna elettorale e in crisi di convivenza abbia partecipato e influito su queste importanti decisioni che riguardano il futuro del lavro, della società, dei giovani e degli anziani.