Niente discarica per i gessi rossi, la Regione Toscana difende la scelta dell’ex cava

Arpat: «Le rilevazioni che abbiamo condotto in circa 15 anni hanno messo in evidenza la mancata correlazione tra la composizione delle acqua di falda e le sostanze rilasciate dai gessi rossi»

[5 Agosto 2021]

Secondo i dati raccolti da Regione Toscana e Arpat, e presentati ieri alla stampa, dai gessi rossi collocati a Montioni nell’ex cava di Poggio Speranzona «non sono derivati problemi ambientali» nell’area. Una conclusione per molti versi opposta a quella cui è giunta la commissione parlamentare Ecomafie, che a marzo ha già indicato la necessità di una soluzione alternativa. Ovvero una discarica per rifiuti speciali, evidentemente da individuare o realizzare ad hoc.

Il nodo del contendere – i gessi rossi – è composto dall’unione dei fanghi rossi scarto di produzione del biossido di titanio (a Scarlino, presso lo stabilimento della multinazionale Venator) con la marmettola (scarto di lavorazione del marmo di Carrara) in qualità di stabilizzante.

Dal 2004 per la gran parte sono stati conferiti nella cava esaurita di Poggio Speranzona, e questo per la commissione Ecomafie ha portato a «un caso emblematico di cattiva amministrazione. La gravità di questa storia è chiara: trovato l’inquinamento, la legge lo mantiene. Parliamo di enormi quantità di rifiuti industriali che dovevano andare in discarica, e invece vengono usati dal 2004 per il ripristino ambientale di una ex cava. Così hanno inquinato il terreno e due falde acquifere. Il tutto con il benestare della Regione Toscana e delle istituzioni centrali».

Ma la Regione non ci sta, e dopo una prima risposta alla commissione ha coinvolto Arpat per predisporre una relazione tecnica sul tema: «Le rilevazioni che abbiamo condotto in circa 15 anni hanno messo in evidenza la mancata correlazione tra la composizione delle acqua di falda e le sostanze rilasciate dai gessi rossi. Infine, un eventuale processo di lisciviazione dei ‘gessi rossi’ non trova riscontro nei monitoraggi effettuati in questo periodo di rilevazioni», spiega il direttore di Arpat Marcello Mossa Verre.

Da cosa dipendono dunque gli allarmi di cui si è fatta portavoce la commissione Ecomafie? Da Arpat invitano a considerare la «complessa geodiversità e singolarità idrogeochimica» che caratterizza l’area, indipendentemente dalla gestione dei gessi rossi: «Come illustrato e attestato da studi e pubblicazioni scientifiche effettuate sull’area, l’idrogeologia e la geochimica dell’area dell’ex cava di Montioni è fortemente influenzata e caratterizzata dai processi geologici che l’hanno interessata in passato e che tuttora la interessano. Collocazione in un’area di anomalia geotermica, varietà di mineralizzazioni presenti, circolazione delle acque presenti, di cui quella più profonda di tipo termale/geotermico», aggiunge Mossa Verre.

A valle di queste valutazioni, la Regione non sembra dunque orientata a preferire la soluzione della discarica per rifiuti speciali, ma conferma la necessità di approfondite valutazioni ambientali per capire come continuare a gestire i gessi rossi: «Questi scarti non possono essere collocati in qualunque luogo e che occorrono valutazioni sito-specifiche molto puntuali», dichiara l’assessora all’Ambiente Monia Monni.

Ancora più ostiche appaiono però le valutazioni sociali, dato che da molti anni la gestione dei gessi rossi è motivo di conflitto sul territorio. Conflitto che neanche un approfondito dibattito pubblico concluso nel 2017 è riuscito a superare, come mostra la cronaca.

All’interno di una retorica ormai orientata dallo slogan “rifiuti zero” è infatti assai difficile far passare il concetto che smaltire in modo sostenibile i rifiuti speciali è una conditio sine qua non per la prosecuzione dell’attività industriale stessa: «In quest’area direttamente lavorano circa 500 persone, che diventano oltre un migliaio se consideriamo anche l’indotto», ricorda Monni.

La Regione punta sulla riduzione di questi scarti, affermando che «c’è una sfida tecnologica che le stesse aziende devono cogliere e attendiamo da queste soluzioni dirette a ridurre gli scarti delle lavorazioni. Ci siamo dati appuntamento a settembre per valutarle». Ma il punto di partenza è sufficiente per capire che quello di caduta non potrà mai essere l’azzeramento dei gessi rossi.

«Per ogni chilogrammo di prodotto ce ne sono sei di scarti, con una produzione di gessi rossi molto elevata, circa 500 mila tonnellate l’anno», dettaglia Monni. Altro che rifiuti zero. Dunque, che farne? «Il confronto sulle modalità di smaltimento dei gessi è costante con le aziende del territorio, non possiamo pensare di autorizzare nuove discariche», conclude l’assessora.

Ma il nodo resta da sciogliere: i gessi rossi continuano ad essere generati e dunque necessitano di essere correttamente smaltiti, ma la Regione da una parte sembra chiudere alla discarica e dall’altra pure allo stoccaggio in altre ex cave – in ipotesi quella della Bartolina, a Gavorrano, ma c’è forte contrarietà da parte dei comitati locali – ora che in quella di Montioni gli spazi si stanno ormai esaurendo.

«Oggi sappiamo che la gestione della cava di Montioni non ha registrato alcun effetto negativo e che, sulla base di quella esperienza ed analizzando a fondo ogni sito potenzialmente ospitante i gessi, è possibile stoccarli in una cava al fine di ripristinarla dopo il suo sfruttamento. Ma dobbiamo anche dire con forza – conclude infatti l’assessore all’Economia della Regione, Leonardo Marras – che, senza un impegno molto concreto di riduzione e riuso dei gessi da parte di Venator, andare alla ricerca di altri siti di stoccaggio sarebbe sbagliato ed inaccettabile per le comunità, oltreché inutile anche per l’azienda».