Non è il riciclo chimico a bloccare le bonifiche nella raffineria Eni di Stagno

Greenpeace denuncia l’immobilismo che grava sul Sin di Livorno, ma la tecnologia waste to chemical potrebbe essere parte della soluzione e non del problema

[3 Novembre 2021]

L’Unità investigativa di Greenpeace ha dedicato una meritoria inchiesta – utilizzando anche greenreport come fonte – alle mancate bonifiche all’interno della raffineria Eni di Stagno, i cui cancelli sono a poco più di cinque chilometri in linea d’aria dalla nostra redazione.

«L’area del Sin di Livorno è di pertinenza Eni per il 95%», sottolineano dall’associazione ambientalista, ricordando che sul Sito d’interesse nazionale vige il più completo immobilismo sin dalla sua perimetrazione nel lontano 2003: come denunciato più volte anche sulle nostre pagine, nel Sin le bonifiche sono allo 0% sia sui terreni sia sulla falda, col risultato che «nell’area Sin di Livorno si registrano eccessi di mortalità per tutte le cause, malattie cardiovascolari e mesoteliomi», come spiega l’epidemiologo del Cnr Fabrizio Bianchi.

In un contesto tanto compromesso, stupisce però osservare come gli sforzi dell’Unità investigativa si concentrino sull’evitare un possibile investimento sull’economia circolare – peraltro vecchio di due anni e mai presentato alla cittadinanza – pensato proprio per delineare un futuro più sostenibile all’impianto di Stagno.

Oggetto principe dell’inchiesta è infatti il vecchio progetto che avrebbe visto Eni e la società pubblica Alia unirsi per realizzare, a Livorno, un impianto di riciclo chimico implicitamente pensato per recuperare rifiuti dell’area fiorentina non riciclabili meccanicamente. Su queste basi il campanilismo toscano si è subito infiammato, e il progetto è rimasto di fatto chiuso in un cassetto.

La tecnologia alla base dell’idea resta però più che meritevole di approfondimenti: si tratta del waste to chemical presentato nelle scorse settimane dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa insieme a NextChem – controllata della multinazionale italiana Maire Tecnimont -, in grado di ricavare idrogeno e metanolo da rifiuti che altrimenti sarebbero termovalorizzati, smaltiti in discarica e/o esportati, ponendo al contempo le basi per la creazione di un Distretto circolare verde dove oggi c’è una raffineria che non solo non bonifica, ma rischia anche di chiudere unendo il disastro ambientale a quello sociale.

Dopo 18 anni di immobilismo, se c’è una chance di portare avanti le bonifiche a Livorno questa passa dalla transizione ecologica della raffineria verso produzioni più sostenibili – che potrebbero peraltro parzialmente rispondere alle croniche difficoltà toscane nella gestione rifiuti e al contempo non costruire nuovi inceneritori –, e non dall’impedire qualsivoglia investimento produttivo nell’area.

«Le operazioni di messa in sicurezza operativa sono solo un cerotto, che consente alle aziende di continuare ad operare senza l’obbligo di risolvere il problema alla radice con gli opportuni interventi di bonifica – commenta nel merito Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace – Chiediamo al Ministero di intervenire per fare in modo che la messa in sicurezza non diventi la norma ma solo un primo passaggio per ottenere bonifiche in tempi certi».

Come fare? In una recente indagine sulle condizioni dei Sin toscani, per il drammatico caso livornese Legambiente suggerisce un approccio pragmatico: «Le sfidanti prospettive di mercato in cui è inserito l’impianto ENI nel suo assetto produttivo attuale – con le relative tensioni strutturali sul fronte occupazionale – non offrono prospettive incoraggianti neanche sul fronte delle bonifiche. Resta dunque urgente da parte delle Istituzioni individuare, assieme all’Azienda e alle parti sociali coinvolte, un percorso di riqualificazione e riconversione impiantistica che tenga assieme le esigenze ambientali con quelle occupazionali ed economiche. A tale proposito, a partire dal 2019 sono state avanzate ipotesi progettuali afferenti alla realizzazione di una non meglio definita bioraffineria e in parallelo ad investimenti sul riciclo chimico in grado di gestire frazioni di rifiuti altrimenti diretti a inceneritori o discariche. Entrambe le ipotesi progettuali, con le relative opportunità e criticità, non sono mai state pubblicamente discusse né approfondite. Anche in questo caso, dunque, avviare un tavolo di confronto tra Enti e Aziende coinvolte – propedeutico a un dibattito pubblico aperto alla cittadinanza – sarebbe dunque quanto mai opportuno per valutare le possibilità di una transizione ecologica basata sulle esigenze locali».