Oggi si celebra la Giornata mondiale del riciclo
Nuova strategia nazionale sull’economia circolare, a settembre la consultazione pubblica
Cingolani: «Grazie al Recovery plan faremo di tutto per rafforzare i sistemi di raccolta differenziata e colmare i gap impiantistici per favorire il riciclo e il recupero di materia»
[18 Marzo 2021]
Oltre al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), il ministero della Transizione ecologica ha ripreso a lavorare anche sulla Strategia nazionale sull’economia circolare: entrambi i documenti, a dispetto della loro importanza, sono fermi in bozza dal 2017. Adesso il Mite, insieme ad Ispra ed Enea, ha avviato l’aggiornamento sulla Strategia e afferma che nel «mese di settembre prenderà il via la consultazione pubblica, che comprenderà le azioni dell’Italia in coerenza con il Piano europeo di azione sull’economia circolare».
Quattro anni fa il Governo si fermò ai preliminari, limitandosi ad approvare il documento Verso un modello di economia circolare per l’Italia e demandando la definizione della Strategia definitiva – che non è mai arrivata – all’esecutivo successivo. Non stupisce dunque che da allora i problemi siano rimasti più o meno gli stessi, se non peggiorati.
Singole eccellenze resistono nel Paese, ma appunto manca una strategia nazionale che sappia fare sistema. Qualche esempio può essere utile a chiarire il quadro della situazione, a partire dai temi tradizionalmente più comuni nel dibattito pubblico come la gestione degli imballaggi.
Nell’ultimo anno, informa oggi il Conai, gli imballaggi immessi sul mercato sono diminuiti del 7% a causa della pandemia ma l’avvio a riciclo è cresciuto del 1%, attestandosi attorno al 71% e quindi arrivando a 9 mln di tonnellate; a fine 2021 la performance è attesa ancora in miglioramento, al 71,4%. Si tratta di un risultato di tutto rispetto nel quadro europeo, ma è opportuno sottolineare che l’Italia genera ogni anno oltre 173 milioni di tonnellate di rifiuti, tra urbani e speciali, e gli imballaggi rappresentano appena l’8% di tutti questi scarti: una percentuale simile è coperta dall’organico, e queste due frazioni racchiudono la quasi totalità della raccolta differenziata (da solo, l’organico assomma il 40% del totale delle raccolte differenziate urbane con 7,3 milioni di tonnellate di umido e verde raccolti nel 2019, come precisano dal Cic).
Allargando il quadro d’osservazione, per la Giornata mondiale del riciclo le associazioni d’impresa di settore – Unirima, Assorimap e Assofermet – ricordano che «l’Italia è leader nell’industria del riciclo in Europa e nel mondo: secondo i dati Eurostat recuperiamo circa il 79% degli scarti prodotti, il doppio rispetto alla media europea, seguiti da Francia (56%), Regno Unito (50%) e Germania (43%). Numeri raggiunti soprattutto tramite il recupero di materia dai rifiuti speciali, quindi grazie alle imprese private che operano in tale settore».
Un altro punto a favore dell’Italia, ma anche in questo caso non è il caso di festeggiare troppo. Che sempre più scarti vengano avviati a riciclo è certamente un fatto positivo, ma è necessario poi andare a vedere anche se e come (e dove) il cerchio si chiude con la re-immissione sul mercato di quei rifiuti sotto forma di nuovi prodotti.
Ad esempio, va sul mercato globale il 65% dei nostri rifiuti urbani e circa il 70% di quelli rifiuti speciali, una montagna fatta di oltre 100 milioni di tonnellate all’anno e che potrebbe presto crollare, perché molti Paesi (in primis la Cina) stanno stringendo i canali per l’import di rifiuti dall’estero. Rimanendo invece all’interno dei patri confini, la nostra spazzatura percorre qualcosa come 1,2 miliardi di km l’anno – circa 175.000 volte l’intera rete autostradale italiana, senza contare le tratte all’estero –, con tutte le ricadute ambientali del caso, perché non ci sono impianti di prossimità in grado di gestirla in modo sostenibile. Questo succede anche perché, purtroppo, agli italiani l’economia circolare sembra piacere sempre di più ma solo a distanza: il 51% della popolazione apprezza gli impianti di riciclo (chissà quelli di recupero energetico o le discariche controllate) ma almeno a 10 km di distanza.
Più in generale, chi come Assoambiente o Utilitalia si è recentemente adoperato per proporre una Strategia nazionale per l’economia circolare, osserva che le criticità stanno crescendo: i rifiuti che generiamo aumentano mentre gli impianti per gestirli calano. A simili conclusioni è arrivata anche un’istituzione super-partes come l’Icesp.
La realtà è che, al di là dei singoli settori in cui l’economia circolare italiana eccelle – anche nel confronto internazionale –, le criticità aperte sono moltissime e la performance complessiva del sistema è oggettivamente bassa. Se è vero che a livello globale l’indice di circolarità è inchiodato all’8,6% (ovvero il 91,4% delle risorse naturali che consumiamo non viene recuperato), l’Italia è comunque ferma al 17,7%. L’Ue, che arriva all’11,2%, ha varato il Piano europeo d’azione sull’economia circolare citato da Cingolani puntando a raddoppiare questa percentuale entro il 2030. Lo stesso (almeno) è chiamata a fare l’Italia.
«Grazie al Recovery plan – conclude Cingolani – faremo di tutto per supportare la transizione circolare soprattutto nei centri urbani, con progettualità innovative che consentano di rafforzare e digitalizzare i sistemi di raccolta differenziata e colmare i gap impiantistici per favorire il riciclo e il recupero di materia». È un inizio, senza dimenticare però il cerchio va chiuso: completare la filiera impiantistica anche sui fronti del recupero energetico e dello smaltimento, e soprattutto ri-assorbire sul mercato i prodotti provenienti da riciclo (a partire dal contributo della Pubblica amministrazione dovrebbe dare attraverso il Gpp) rappresenta l’obiettivo verso cui tendere.