In neanche 5 mesi esaurito il budget di risorse naturali rigenerabili nel corso dell’anno
Oggi è l’Overshoot day per il mondo, non per l’Italia: noi siamo in deficit dal 19 maggio
Bologna (Wwf): «Urgentissimo sanare l’enorme “debito ecologico” che abbiamo con il nostro Pianeta e i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti»
[2 Agosto 2017]
Prima del 1965 l’Overshoot day – il “giorno del sovrasfruttamento” – non era cosa che riguardasse l’Italia: l’impronta ecologica della popolazione (ovvero le nostre necessità di utilizzare risorse dalle aree agricole, dai pascoli, dalle foreste, dalle aree di pesca e lo spazio utilizzato per le infrastrutture e per assorbire il biossido di carbonio, la CO2) era inferiore alla biocapacità nazionale, intesa come la capacità dei sistemi naturali prima indicati di produrre risorse e assorbire biossido di carbonio. Da allora molto è cambiato. La biocapacità non è – naturalmente – aumentata, mentre la crescita dell’impronta ecologica italiana è avanzata inesorabile.
Come risultato finale, nel 2017 l’Overshoot day è arrivato a bussare alle nostre porte ben prima di quanto facesse con quelle del mondo intero. L’Earth overshoot day, ovvero la data in cui la richiesta di risorse naturali dell’umanità supera la quantità di risorse che la Terra è in grado di generare nello stesso anno, è un valore medio: alcuni Stati impattano di più, altri di meno. E se per il mondo il “giorno del sovrasfruttamento” è giunto oggi, in Italia è arrivato senza far rumore il 19 maggio scorso.
Concretamente, questo significa che la nostra impronta ecologica è più alta di quella media mondiale, e che in neanche cinque mesi abbiamo esaurito tutto il budget di risorse rigenerabili nel corso dell’anno che il nostro territorio ci mette a disposizione: un modello di vita a credito (ambientale) che, se fosse seguito da tutti i 7,5 miliardi di esseri umani oggi viventi, richiederebbe le risorse di 2,6 pianeti Terra per essere sostenibile.
Di pianeti, però, ne abbiamo a disposizione soltanto uno. Converrebbe prendercene debitamente cura. «Il nostro pianeta è finito, ma le possibilità umane non lo sono – spiega Mathis Wackernagel, Ceo del Global footprint network che ogni anno si occupa di conteggiare l’Earth overshoot day, e co-creatore dell’impronta ecologica – Vivere all’interno delle capacità di un solo pianeta è tecnologicamente possibile, finanziariamente vantaggioso ed è la nostra unica possibilità per un futuro prospero».
Finora non ne siamo stati in grado. La data dell’Earth overshoot day è caduta sempre prima della naturale scadenza al 31 dicembre, a partire dagli anni ‘70: l’allarme suonava a fine di settembre nel 1997, 20 anni fa, e si è anticipato fino al 2 agosto di quest’anno, mai così presto. Oggi, è come se ci servissero 1,7 pianeti Terra per soddisfare il nostro fabbisogno attuale di biocapacità.
I segnali di questo declino sono ormai innumerevoli: il 2016 è stato l’anno più caldo a livello mondiale raggiungendo un incremento di 1.1°C rispetto al periodo preindustriale, come ricordano dal Wwf, mentre «la somma di tutti gli output di materia che vengono trasformati e consumati dall’umanità (e che includono le componenti derivanti dalle attività umane urbane, agricole e marine, con l’utilizzazione dell’energia e dei flussi di materia necessarie alle nostre economie) viene indicata in una stima preliminare che raggiunge i 30.000 miliardi di tonnellate».
La buona notizia è che possiamo ancora tornare indietro, il declino non è ineluttabile: se posticipassimo l’Overshoot day di 4,5 giorni ogni anno – calcolano dal Global footprint network – potremmo ritornare ad utilizzare le risorse di un solo pianeta entro il 2050. In parte si tratta di un processo già in corso, come mostra proprio l’esempio italiano.
La nostra impronta ecologica ha continuato ininterrottamente a crescere negli ultimi decenni, fino a invertire la rotta nel 2007, con l’arrivo della crisi finanziaria prima ed economica poi. Oggi impattiamo meno sull’ambiente, al prezzo però di un’economia che non funziona. Fare di meglio è possibile, oltre che indispensabile: ad esempio, tra il 2005 e il 2013 l’impronta ecologica pro capite degli inquinanti Usa è scesa quasi del 20% rispetto al suo picco, e nello stesso periodo il Pil pro capite statunitense è cresciuto del 20%, disaccoppiando dunque la crescita economica dal consumo di biocapacità. Anche l’Italia ha imboccato – suo malgrado – questa strada tagliando risultati importanti. Ora è il momento di guidare, e non più subire, questa transizione, creando benessere per la popolazione e salvaguardando l’ambiente che sostiene (anche la nostra) vita.
«In questa situazione – spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia e membro del think tank di greenreport – è urgentissimo dare immediata concretizzata agli accordi presi in sede internazionale per migliorare lo stato del Sistema Terra e provare a sanare l’enorme “debito ecologico” che abbiamo con il nostro Pianeta e i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. È urgente attivare l’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, considerandoli in maniera interconnessa e impostare una nuova economia capace di seguire i processi circolari della natura che la nostra visione economica dominante ha purtroppo trasformato in processi lineari con la produzione di scarti, rifiuti e inquinamento».