Petrolio e rinnovabili, qual è il nostro futuro? Ecco cosa cambia per l’Italia col crollo del barile
[14 Gennaio 2015]
Come cambia in fretta il mondo! Sembrava che il petrolio a 100-120 dollari al barile fosse la cosa normale e nessuno si ricordava più che in epoche non preistoriche, diciamo 10 anni fa, il solo pensiero che il petrolio potesse superare i 30-40 dollari al barile fosse un’eresia. Appunto, le cose cambiano e, in pochi mesi, il prezzo del petrolio è improvvisamente crollato da oltre 100 a meno di 50 dollari al barile, raggiunti nelle prime settimane del 2015. E potrebbe scendere ancora.
Di questo crollo si è detto tantissimo e si è fatta tanta fantapolitica, attribuendolo a misteriosi accordi a porte chiuse fra questo e quell’altro produttore per liberarsi della concorrenza. In realtà, questo crollo dei prezzi è un disastro totale per tutti i produttori che, in pochi mesi, si sono visti gli introiti dimezzati. Che lo abbiano fatto apposta è perlomeno improbabile. Quello che abbiamo di fronte è piuttosto una manifestazione del principio che vuole che il prezzo di un bene sia determinato dal gioco della domanda e dall’offerta. I costi di produzione sono in crescita ovunque a causa del graduale esaurimento dei pozzi a buon mercato; per cui prezzi alti sono necessari per i produttori per avere un profitto (altrimenti, non potrebbero produrre!). Ma i prezzi alti determinano un calo nella domanda; semplicemente, la gente non ce la fa più a pagarli ed è costretta a consumare di meno. In Italia, per esempio, abbiamo perso oltre il 30% dei consumi petroliferi negli ultimi sette-otto anni, e non siamo il solo paese dove è successo qualcosa del genere. Questo doveva avere qualche effetto sul mercato mondiale, e lo sta avendo. Il crollo dei prezzi è il risultato del tentativo del mercato di trovare un equilibrio. Prima o poi lo troverà, e i prezzi sono destinati a risalire. Ma nel frattempo l’industria petrolifera si sarà notevolmente ridimensionata.
Ma che effetto avranno le folli oscillazioni del mercato petrolifero sulle rinnovabili? Beh, a prima vista sembrerebbe che i prezzi bassi dovrebbero danneggiare le rinnovabili ma, per quanto possa essere strano a dirsi, gli effetti potrebbero essere positivi. La ragione è che, con il petrolio a oltre 100 dollari al barile, l’industria dei fossili ha avuto parecchi anni di vacche grasse. In particolare, la diffusione dell’estrazione di petrolio e gas mediante il cosiddetto “fracking” negli Stati Uniti ha generato una bolla finanziaria di proporzioni gigantesche. Attirati da prospettive di futura abbondanza (per quanto fosse improbabile), gli investitori hanno pagato per creare un’industria che è certamente in grado di produrre petrolio, ma che lo produce a costi molto alti e che non può sopravvivere nelle condizioni di mercato attuali. In pratica, siamo al “si salvi chi può” e la bolla del fracking sta per esplodere, o sta già esplodendo.
Gli anni delle vacche grasse dell’industria petrolifera non sono stati senza conseguenze per il sistema energetico mondiale. Con le risorse finanziarie a disposizione e con il prestigio che arrivava dalla cosiddetta “rivoluzione del fracking”, i petrolieri hanno cercato di espandersi sul mercato, fra le altre cose cercando di liberarsi della concorrenza delle rinnovabili. Da noi, lo si è visto con il decreto “Sblocca Italia”, che cerca di aumentare la produzione petrolifera nazionale e arrivato insieme a una politica fortemente restrittiva, addirittura punitiva, nei riguardi delle rinnovabili. Ma in Italia rimangono solo giacimenti inquinanti e costosi. Con il petrolio a 120 dollari al barile poteva avere un senso economico fare l’enorme sforzo necessario per sfruttarli. Adesso, a 50 dollari al barile, non è più possibile. I petrolieri e il governo Renzi si sono trovati spiazzati con i loro piani di espansione petrolifera diventati finanziariamente insostenibili in soli pochi mesi.
Quindi, è possibile che i guai dell’industria petrolifera si rivelino un vantaggio per l’industria delle rinnovabili. Questo non vuol dire che sarà tutto facile; assolutamente no. Siamo di fronte a un periodo di grande turbolenza finanziaria (e non solo) e questo renderà difficile trovare gli investimenti necessari per ripartire con la crescita dell’energia rinnovabile. Ma, perlomeno, dovrebbe essere chiaro che trivellare di più e trivellare più a fondo non è il nostro futuro. Abbiamo ancora bisogno del petrolio, e ne avremo ancora bisogno per molti anni. Ma ne abbiamo bisogno soltanto per costruire un’infrastruttura energetica basata sulle rinnovabili. E’ quello il vero futuro.