Più di 300 mld dai privati. Come chiedere ai cittadini dell’Ue di investire 600 euro a testa
Juncker stanzia 7 miliardi di euro l’anno, ne servirebbero 370 per colmare il gap europeo
Quella della Commissione è una scommessa sulla (scarsa) fiducia degli investitori
[26 Novembre 2014]
Quanto vale la fiducia dei suoi cittadini nell’Unione europea? Con un rapido calcolo, il neopresidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, sembra stimare circa 600 euro a testa. La risposta dei cittadini però non è ancora arrivata.
Il piano che ha presentato oggi di fronte al Parlamento comunitario, definito «un’offensiva sugli investimenti», si basa sulla creazione di un nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), garantito con fondi pubblici, per mobilitare non meno di 315 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nel corso dei prossimi tre anni (2015-2017). Il problema è che le risorse imputabili alla Ue, in questo nuovo strumento, ammontano ad appena 21 miliardi di euro (che bastino per tre anni, in media 7 per ognuno). Il resto è una scommessa sulla fiducia degli investitori privati.
Il Feis verrà infatti istituito in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (Bei): si avvarrà di una garanzia di 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell’Ue – si tratta in buona parte di risorse già stanziate e qui dirottate, non denari freschi – in combinazione con 5 miliardi di euro impegnati dalla Bei. La commissione Juncker si attende, «secondo stime prudenti effettuate sulla base dall’esperienza storica», che l’effetto moltiplicatore del fondo sarà di 1:15. In altri termini, ogni euro pubblico mobilitato mediante il fondo genererà 15 euro di investimenti privati, in modo da arrivare a 315 miliardi di investimenti.
Ovvero, semplificando, è il risultato che si otterrebbe se i circa 500 milioni di abitanti dell’Unione europea decidessero di investire circa 600 euro ognuno per finanziare (aspettandosi in cambio un guadagno) i progetti selezionati dall’Europa, pompando 300 miliardi di euro nell’economia Ue. È un calcolo avventato? Certamente, lo definiremmo piuttosto un divertissement. Ma anche la serietà del piano Juncker rimane tutta da dimostrare.
Dettaglio non trascurabile, in ogni caso, è infatti l’ammontare delle risorse che si mira a raccogliere. Se anche tutto andasse per il meglio e il piano Juncker centrasse il proprio obiettivo, 300 miliardi di euro sarebbero pochi o tanti? La Commissione europea – risponde il Wall Street Journal – stima che il gap di investimenti in Europa oscilli tra i 230 e i 370 miliardi di euro ogni anno, e la sua cura da cavallo per l’economia consiste nello sperare di raggranellarne 315 in tre anni.
Anche le esperienze pregresse non fanno ben sperare. Nel 2012 il neoeletto presidente francese François Hollande, speranza della sinistra europea (adesso il testimone è passato a Renzi, sperando il finale non sia lo stesso), chiese e ottenne il lancio di un growth compact da 120 miliardi di euro per rilanciare la crescita Ue. A due anni di distanza i suoi detrattori ne parlano come di un fallimento totale, mentre la Bei sostiene di procedere in linea con gli obiettivi scelti. Quel che certo è che i meccanismi dell’allora growth compact erano molto vicini a quelli oggi riproposti da Juncker, e da due anni a questa parte la performance economica dell’Unione europea è stata tutt’altro che brillante. Se lo scopo era quello di risollevarla, evidentemente non ha centrato il bersaglio.
Per finire, quali progetti si prefigge di finanziare il piano Juncker? La Commissione parla di investimenti «nelle infrastrutture, in particolare nella banda larga e nelle reti energetiche, nonché nelle infrastrutture dei trasporti negli agglomerati industriali; nell’istruzione, nella ricerca e nell’innovazione, nelle energie rinnovabili, nelle PMI e nelle imprese a media capitalizzazione».
La prerogativa per attirare capitali privati, però, è appunto che questi investimenti siano redditizi. Dei 2.204 progetti (per 40 miliardi di euro complessivi) che l’Italia ha indicato a Bruxelles come prioritari per il proprio Paese, ad esempio, 1.956 riguardano la prevenzione del rischio idrogeologico, ovvero per tutelare un bene pubblico (il territorio). Difficile che un privato decida di investirci a sue spese.
Il commento più adatto per il funambolico piano Juncker rischia così di essere lo shakespeariano “tanto rumore per nulla”. Lo spiraglio di luce arriva solo dal possibile intervento degli stati. Quelli che decideranno (se decideranno) di intervenire iniettando ulteriore risorse nel Feis lo faranno senza che queste cifre incidano nella spirale dell’austerità: «I contributi degli stati saranno fuori dal deficit e dal debito», ha promesso Juncker. Un’altra scommessa sulla fiducia, stavolta degli stati, ma nessuna certezza.