Dal laboratorio Ref ricerche un nuovo rapporto sul contesto nazionale ed europeo

Quanta materia ed energia possiamo recuperare dai fanghi di depurazione

Derivanti dalla depurazione delle acque reflue, sono composti prevalentemente da carbonio (25-35%), azoto (4-5%), fosforo (2-3%) e ossigeno (20-25%)

[15 Novembre 2022]

I fanghi sono il principale scarto delle attività di depurazione delle acque reflue: secondo i dati Ispra, nel 2020, sono state prodotte in Italia quasi 3,4 milioni di tonnellate di fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue urbane.

Quantitativi che sono destinati ad aumentare a seguito dell’estensione della depurazione degli scarichi civili, ponendo al contempo seri interrogativi sulla qualità delle attuali forme di gestione dei fanghi: nel 2020, infatti, ben il 53,5% dei fanghi prodotti a livello nazionale è stato avviato a smaltimento.

Un nuovo rapporto del laboratorio Ref ricerche si domanda se e come sia possibile fare di meglio, intervenendo sulle tecnologie come sulle normative in vigore (e in fase di revisione).

I fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue, misurati su sostanza secca, sono infatti composti di norma da carbonio (25-35%), azoto (4-5%), fosforo (2-3%) e ossigeno (20-25%), a cui si aggiungono percentuali minori di altri elementi utili, adatti a diversi usi; per la loro ricchezza di sostanze nutrienti e materia organica rappresentano dunque una materia prima seconda che può sostenere la transizione verso l’economia circolare.

Una stima dei quantitativi di nutrienti che potenzialmente posso essere contenuti nei fanghi di depurazione prodotti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane nei Paesi dell’Ue indica tra 6.900 e 63.000 tonnellate di fosforo e tra 12.400 e 87.500 tonnellate di azoto, corrispondenti ad un intervallo tra 0,6% e 6% dei fertilizzanti a base di fosforo e tra 0,1% e 1% di quelli a base di azoto usati complessivamente nell’UE nel 2018.

Se oltre ai nutrienti si considera anche l’energia che può essere ricavata da un opportuno trattamento dei fanghi da depurazione attraverso digestione anaerobica per la produzione di biogas o attraverso incenerimento o pirolisi, le stime sul totale dei Paesi UE indicano un potenziale tra 1800 GWh e 3200 GWh attraverso digestione anaerobica dei fanghi attualmente prodotti e 250 GWh di produzione elettrica netta da combustione conteggiando i soli fanghi che attualmente vengono inviati ancora a discarica.

Storicamente l’uso più comune è stato quello di spandimento nei terreni agricoli in sostituzione di fertilizzanti chimici, dopo trattamenti minimi: una pratica che però negli ultimi anni è andata diminuendo in molti Stati dell’Unione europea, dando spazio ad usi alternativi che consentano comunque di evitare lo smaltimento in discarica e permettano almeno una qualche forma di recupero, con differenti destini anche a seconda della qualità dei fanghi.

Molto diffuso è il trattamento in impianti di compostaggio o con l’aggiunta di ossido di calce e quindi successivo uso in agricoltura; altri tipi di trattamenti sono finalizzati al recupero di specifici nutrienti (fosforo e/o azoto), mentre un’altra opzione prevede il trattamento in impianti di digestione anaerobica: qui il biogas prodotto può essere convertito in biometano per l’utilizzo come carburante per i veicoli o l’immissione nella rete gas, mentre il digestato risultante dal processo di digestione anerobica può diventare materiale costituente per la produzione di fertilizzanti.

La termovalorizzazione è invece una soluzione spesso usata quando viene meno la possibilità di valorizzare i fanghi come nutrienti per mancanza di requisiti di qualità o per vincoli normativi.

In Europa sono inoltre in fase di sviluppo diverse tecnologie finalizzate a rendere più efficiente la disidratazione dei fanghi, il recupero di energia e di altri tipi di nutrienti, oltre che la produzione di nuovi materiali dal trattamento dei fanghi, quali ad esempio bioplastiche innovative, produzione di laterizi, materiali vetrosi, carbone attivo, biocarbone e bio-fertilizzanti ad alto tenore di fosforo e potassio; anche laddove le tecnologie sono già esistenti la loro possibile diffusione risulta tuttavia legata alla sostenibilità ambientale nonché economica dei processi.

In Italia, tra le forme di recupero quella attualmente più diffusa è il compostaggio, attività che coinvolge più di 290 impianti, gran parte dei quali riceve anche fanghi, per una quantità complessiva di circa 465 mila tonnellate nel 2020 corrispondenti a quasi il 12% dei rifiuti trattati; più del 78% di tali fanghi provengono da impianti di depurazione del servizio idrico.

Più in generale, l’uso dei fanghi in agricoltura è stato regolato a livello europeo con la Direttiva 86/278/EEC, ma a distanza di più di trent’anni i suoi contenuti appaiono insufficienti e non aggiornati.

Per integrare la normativa europea nei Paesi membri sono quindi state emanate norme e regolamenti nazionali che hanno generato un quadro eterogeneo. Da un’analisi delle normative applicate nei diversi Paesi europei si possono distinguere due diversi approcci: un gruppo di Paesi che ha adottato gli stessi limiti previsti dalla normativa europea ed uno, più numeroso e comprendente anche l’Italia, che almeno per alcuni parametri ha adottato limiti più restrittivi, a volte con il risultato di frenare considerevolmente l’uso dei fanghi in agricoltura.

Guardando in particolare al caso italiano, a livello nazionale l’uso dei fanghi da depurazione e il loro spandimento sul suolo è regolamentato con il Decreto legislativo 99/92, che consente l’uso dei fanghi in agricoltura a determinate condizioni; anche in questo caso si tratta di un approccio molto datato, con le Regioni italiane che si sono dunque mosse autonomamente originando una situazione variegata di discipline applicabili in termini di valori limite e prescrizioni di utilizzo, generando linee di condotta anche molto divergenti tra loro.

Vista l’eterogeneità che si è generata, la stessa Unione europea ha iniziato un processo finalizzato ad unificare l’approccio dei Paesi membri verso l’uso dei fanghi in agricoltura, commissionando studi specifici sull’argomento. Ma poiché le possibili contaminazioni nei fanghi sono strettamente legate alle caratteristiche delle acque reflue trattate e dei trattamenti depurativi, è fondamentale che la revisione della Direttiva 86/278/EEC sia coordinata con quella della Direttiva 91/271/EC sul trattamento delle acque reflue urbane, anch’essa in atto.

La definizione dei limiti dovrebbe prevedere l’identificazione e definizione di classi di qualità per i fanghi, da associare progressivamente a diversi destini, a partire dallo spandimento in agricoltura per passare al recupero di materia e quindi di energia, in modo da massimizzare il recupero di nutrienti dai fanghi che danno maggiori garanzie di qualità. Potendo disporre di diversi utilizzi si potrebbe infine arrivare anche al divieto vero e proprio di invio a discarica.

Tornando all’Italia, la revisione del Decreto Legislativo 99/92 è arrivata alla definizione di alcune bozze, senza tuttavia finora addivenire ad un testo definitivo: una conclusione in tempi rapidi di questo percorso al fine di permetterebbe anche alla gestione dei fanghi di concorrere agli obiettivi di recupero di materia ed energia del Programma nazionale di gestione dei rifiuti e della Strategia nazionale per l’economia circolare.