Intervista a tutto campo con il presidente Alessandro Canovai

Revet, l’economia circolare spiegata da chi l’ha portata in Toscana 30 anni fa

«Riciclare è un lavoro difficile, e farlo con frazioni critiche come quelle delle plastiche eterogenee lo è ancora di più»

[5 Aprile 2017]

Fondata nel 1986, la toscana Revet rappresenta oggi un’industria leader nella gestione integrata del ciclo dei rifiuti, che serve circa 200 amministrazioni comunali e oltre l’80% della popolazione regionale. Ogni anno raccoglie, seleziona e avvia al riciclo 160mila tonnellate di rifiuti (materiali quali plastiche, alluminio, acciaio, vetro, poliaccoppiati come il tetrapak) derivati sia dalle raccolte differenziate urbane realizzate dai cittadini, sia da quelle delle attività produttive.

Revet si adopera inoltre per riciclare una delle frazioni più difficili da gestire, quel plasmix – gli imballaggi plastici che non sono né bottiglie né flaconi – che viene lavorato a Pontedera nell’impianto della controllata Revet Recycling, trasformandolo in profili destinati all’arredo urbano o in granuli adatti allo stampaggio di nuovi manufatti plastici anche di alta gamma. Un’economia circolare concreta e ad ampio spettro, volta a migliorare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio. Come? Ne abbiamo parlato in un’intervista a tutto campo con Alessandro Canovai, presidente di Revet e Revet Recycling. Di seguito la prima parte: 

Revet ha appena terminato di festeggiare i propri primi 30 anni di vita, rappresenta un’azienda pienamente matura. Qual è il suo personale bilancio, dopo due anni di presidenza?

«I presidenti passano, a rimanere è il progetto industriale – che cerchiamo di arricchire ed efficientare di anno in anno – per il quale dobbiamo ringraziare i nostri soci. Revet è un’azienda che in trent’anni, grazie all’apporto dei suoi soci, ha saputo adeguarsi a come è cambiata sia la legge, sia le direttive sia gli obiettivi, profondamente mutati nel settore nel quale operiamo. Attualmente sta vivendo la fase più importante del proprio consolidamento industriale, con un assetto societario più ordinato».

In questi tre decenni ad evolversi è stata la stessa compagine sociale dell’azienda, che continua a mutare come testimonia da ultimo la nascita di Alia: come cambia il lavoro della Revet con la nascita dei gestori unici degli Ato toscani?

«Ci relazioniamo bene. Dai nostri soci abbiamo il mandato, che poi si traduce in termini contrattuali, di valorizzare al massimo le nostre filiere a beneficio comune: il nostro obiettivo è tradurre lo sforzo del cittadino che fa la raccolta differenziata nella massima valorizzazione economica di quei materiali. Avere un polo industriale comune di riferimento come il nostro permette di migliorare l’efficienza tramite economie di scala, che a loro volta consentono di accedere a capitali e alle migliori tecnologie disponibili, massimizzando il valore delle miniere urbane toscane.

Per quanto riguarda in particolare i gestori unici, ad oggi abbiamo il blocco dell’Ato Centro con Alia, il blocco dell’Ato Sud con Sei Toscana – che ad oggi non è socia Revet ma dovrebbe diventarlo –, e vedremo cosa accadrà nell’Ato Costa. Al di là delle vicende societarie di RetiAmbiente i nostri impianti credo possano essere i più efficienti cui rivolgersi per la Toscana costiera, data anche la vicinanza geografica. Se in futuro riuscissimo poi a rivolgerci al di fuori dei confini regionali, perché no. È un modello molto osservato questo di Revet, anche perché di fatto ha una maggioranza pubblica rispetto ad altre società del settore che sono completamente private. Di questo siamo felici. Tecnologicamente dobbiamo aggiornarci un po’, presto inaugureremo delle nuove linee (sia per Revet sia per Revet Recycling), abbiamo molto da lavorare».

Revet è anche la prima promotrice dell’iniziativa Toscana ricicla: crede che una maggiore integrazione tra tutti gli attori della filiera presenti sul territorio sia utile a migliorare la performance complessiva?

«Revet vive nel mondo della trasformazione dei rifiuti, quindi noi dobbiamo arrivare a generare delle materie riciclate con cui fare prodotti, non fare prodotti in prima persona perché non è il nostro mestiere. Per fare questo dobbiamo agire sia in avanti, quindi comunicare che con le nostre materie si possono fare prodotti buoni e attraenti per un mercato di sbocco, e indietro verso i nostri conferitori – ossia i cittadini – facendo comunicazione per ridurre gli errori del conferimento. La comunicazione è fondamentale per tenere attiva l’attenzione del cittadino che è il produttore dei rifiuti, e spiegargli anche il perché dei suoi sforzi nella raccolta differenziata. Revet in questo senso ha investito molto a disposizione dei soci perché poi ogni territorio ha le sue peculiarità: quindi Toscana Ricicla è il contenitore della comunicazione, dove sono presenti tutti i gestori del territorio».

Quattro anni fa dall’esperienza Revet è nata Revet Recycling, impresa manifatturiera che ha lanciato la Toscana nel pantheon delle migliori realtà europee in fatto di economia circolare, riciclando una frazione critica come quella delle plastiche miste (plasmix): un processo che ha vantaggi ambientali ma è economicamente più costoso rispetto alla produzione di polimeri vergini. Com’è possibile sostenerlo?

«Riciclare è un lavoro difficile, e farlo con frazioni critiche come quelle delle plastiche eterogenee lo è ancora di più. Trovare delle nicchie di mercato che riescano a valorizzare prodotti riciclati da materiali come questi è un lavoro che all’inizio richiede un supporto anche dal punto di vista normativo, inteso come incentivo – usiamo questo termine – indiretto, come è stato fatto già nel nostro Paese, nella Ue e nel mondo su molti altri settori. È il caso delle energie rinnovabili, ma anche l’ecobonus in edilizia, o per l’acquisto di auto. Si tratta sempre di incentivi che arrivano da un portafoglio pubblico. Perché l’economia circolare fatta con prodotti derivati dai rifiuti non può essere sostenuta in quei termini?».

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