A Pisa la lectio magistralis per l’avvio del master a marchio Sant’Anna

Rifiuti speciali, Ispra: «La certezza dell’informazione nel nostro Paese è un’utopia»

Obiettivi di riciclo da un lato e destinazione delle risorse dall’altro

[16 Febbraio 2015]

Il master  in Gestione e controllo dell’ambiente – management efficiente delle risorse, promosso dalla Scuola Superiore Sant’Anna, si è aperto a Pisa con la lectio magistrale di Bernardo de Bernardinis, presidente dell’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. De Bernardinis ha presentato in quest’occasione il Rapporto sui rifiuti speciali che l’Ispra produce da una dozzina di anni e che era stato presentato ufficialmente poche settimane fa a Roma.

De Bernardinis ha presentato il proprio lavoro disegnando le difficoltà di contesto: i dati dei Mud che sono di 3 anni prima e che non riguardano le aziende con meno di 10 dipendenti, rappresentando quindi appena il 10% del tessuto economico nazionale. «La certezza dell’informazione – ha spiegato – che è fondamentale  per conoscere e agire le decisioni più corrette, nel nostro Paese è un’utopia e la nostra attività faticosissima di reporting ufficiale sarà sempre un’immagine sfumabile, (non sfumata, attenzione all’esattezza del significato), un proxi permeabile (non permeato) che ancora oggi ci sfugge e dove si annidano le ecomafie».

Il presidente di Cispel Confservizi Toscana, Alfredo De Girolamo, ha sottolineato che  «questo rapporto Ispra è preziosissimo, scaricabile dal sito. Si commentano poco questi dati, soprattutto da parte dei decisori politici, molto legati alle emergenze del momento sugli urbani. Uno strabismo irrazionale, considerato che i rifiuti speciali sono quattro volte quelli urbani e per molta parte ben più pericolosi, senza contare che nella gestione dei rifiuti speciali si continuano ad annidare attività illecite e speculative di dimensioni ben maggiori di quelle relative al più controllato e visibile mondo dei rifiuti urbani».

Uno studio dal quale la Toscana esce bene: «Secondo le stime calcolate su 10 milioni di speciali prodotti in Toscana, la sesta regione d’Italia, appena l’8% finisce conferito in discarica o ad incenerimento», prosegue il presidente di Confservizi Cispel Toscana. Numeri che potrebbero essere ancora migliori: «E’ importante chiudere il cerchio del trattamento dei rifiuti speciali all’interno della Toscana secondo il principio di prossimità, realizzando nuovi impianti (fanghi, pulper, rifiuti pericolosi) e utilizzando meglio, anche per i flussi di rifiuti speciali, gli impianti esistenti e previsti per la gestione dei rifiuti urbani – spiega ancora De Girolamo – in una logica di interazione fortemente voluta dal nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti, a partire proprio dalla gestione dei fanghi di depurazione civile».

Per quanto riguarda il master, «esso vuole entrare nel merito di un comparto solitamente un po’ ignorato – ha illustrato il direttore dell’istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna, Marco Frey – Dei rifiuti speciali sappiamo troppo poco, perché vanno sul mercato e sfuggono alla nostra percezione».

Nel corso del convegno non è mancato il contributo tecnico dei rappresentanti delle più importanti aziende toscane che operano nel campo dei rifiuti speciali, con una premessa doverosa da parte del direttore di Arpat Giovanni Barca, che ha ricordato l’importanza di «dotare i distretti industriali di presidi ambientali, smarcandosi dalla dipendenza che tuttora abbiamo da altre regioni. Ed è per questo che per me la gestione dei rifiuti speciali non dovrebbe essere delegata interamente al libero mercato».

Il presidente di Revet Valerio Caramassi è partito invece dal dato delle 600 imprese toscane che trasformano plastica. «Quando abbiamo deciso di entrare anche nel mercato degli speciali, mettendoci a disposizione delle aziende per ritirare i loro materiali di scarto – ha spiegato – abbiamo scoperto che le 600 aziende toscane che trasformano plastiche non buttano via nulla, recuperano tutti i loro scarti: rifiuti zero senza fare nemmeno un’assemblea. Questo cosa significa? Significa che quando il materiale ha un valore di mercato, lo riceve e lo reimmette sul mercato. Quando invece sono necessari energia, lavoro e tecnologia per valorizzarlo viene lasciato lì, se va bene va a recupero energetico, altrimenti va in discarica.

L’esempio concreto nostro è quello delle plastiche eterogenee post consumo, che hanno disvalore di mercato. Chi le detiene deve pagare per disfarsene; che esse siano destinate a discarica, a recupero energetico o a impianti di riciclo come il nostro, si deve pagare.

Se si vuole che sia recuperata questa frazione, in linea con gli obiettivi europei di riciclo (non di raccolta differenziata, quelli ce l’ha l’Italia, che scambia la raccolta differenziata per il riciclo, ovvero il mezzo per il fine), non si fanno i decreti del Mise come quello del 2012 in cui si danno 5,8 mld l’anno per bruciare anche quei rifiuti che io tanto faticosamente ho raccolto e riciclato. Perché se da una parte si mette il formaggio e dall’altra si mette il suonatore di mandolino, dove volete che vadano i topi?».