Rinnovabili e efficienza energetica creano più lavoro delle fonti fossili
Il centro per la ricerca energetica inglese ha studiato i dati analizzati da cinquanta studi pubblicati dal 2000 a oggi
[16 Dicembre 2014]
Il team del Technology and Policy Assessment dell’Ukerc, il centro per la ricerca energetica inglese, ha studiato i dati analizzati da cinquanta studi pubblicati dal 2000 sul rapporto tra investimenti in energia verde e la creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti, Europa e Cina, e l’ha paragonato a quello impiegato nel settore della produzione di energia da fonti fossili evidenziando come l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica creino, per ogni Gwh prodotto, fino a 1 posto di lavoro in più rispetto ai combustibili fossili.
In media l’elettricità prodotta da carbone e gas crea 0.1-0.2 posti di lavoro lordi per GWh, l’energia generata dal vento porta alla creazione lorda di 0.5 posti di lavoro per GWh, quelli generati dal solare sono tra 0,4-1,1 per GWh e quelli generati grazie all’efficienza energetica sono pari a 0,3-1 per GWh. La ricerca ha dunque evidenziato come le fonti rinnovabili associate all’efficienza energetica creino (sempre per ogni GWh prodotto), un numero di posti di lavoro dieci volte maggiore di quanto generato dalla produzione elettrica fossile.
Dati che confermano quanto emerso da altri studi: in Canada l’ultimo rapporto pubblicato dalla Clean Energy Canada, associazione che lavora per accelerare il processo di transizione verso le energie rinnovabili, rileva come i circa 18 miliardi di dollari investiti nell’energia rinnovabile abbiano portato ad una crescita del 37 % dell’occupazione in cinque anni; adesso sono 23.700 gli occupati nel settore delle rinnovabili, mentre sono 22.340 le persone che lavorano nell’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose.
Per tornare al nostro Paese, nel rapporto “Comuni Rinnovabili”, Legambiente, GSE (Gestore Servizi Energetici) e Sorgenia hanno stimato che il settore delle energie rinnovabili potrebbe arrivare a creare 250 mila posti di lavoro, più altri 600 mila nei settori collegati e nell’indotto entro il 2020.
Will Blynthe, che ha condotto il progetto di ricerca dell’Ukerc, ha quindi ribadito l’importanza di investimenti governativi nel settore delle energie rinnovabili dato il ruolo cruciale che questi avrebbero per la crescita economica dei Paesi. Con immediati benefici in ambito occupazionale e degli investimenti nel settore green, che sarebbero tra l’altro soltanto il primo passo: nel lungo termine i risultati di tali investimenti garantirebbero il passaggio ad un modello energetico più sostenibile con vantaggi sul clima, sulla salute delle persone, sull’ambiente e dunque in generale sull’economia. Per i paesi che non hanno fonti fossili si avrebbe, come ulteriore vantaggio, una minore dipendenza dalle importazioni con un saldo positivo sui costi energetici: solo per l’Italia il risparmio -secondo i dati forniti da Greenpeace- sarebbe di oltre un miliardo all’anno.
Soltanto il consumo di gas naturale, in Italia, rispetto alle altre fonti di energia ammonta al 34% del totale, che significa circa 70 miliardi di metri cubi, secondo quanto calcolato dal rapporto dell’area research di Banca Monte dei Paschi di Siena. Un valore che si è ridimensionato rispetto al picco di 86 miliardi di metri cubi del 2005 di quasi il 20% sui consumi, in gran parte per effetto della crisi, che dal 2008 ad oggi ha influito pesantemente determinando un deciso calo dei consumi di energia (confermati anche dal rapporto mensile di Terna che indica per i primi 11 mesi del 2014 un fabbisogno in diminuzione del 2,9%), ma anche per la concorrenza da parte delle energie rinnovabili nella produzione di elettricità.
Sempre il rapporto mensile di Terna, riferito al mese di novembre, rivela che la generazione elettrica di tutte le fonti rinnovabili cresce del 6% (106 TWh il dato assoluto di produzione) e copre il 37,4% del consumo di energia elettrica del Paese.
La produzione da fotovoltaico, da sola, copre la richiesta di elettricità del paese per il 7,9% e contribuisce alla produzione nazionale per il 9,1%.