Le rinnovabili in grado di fornire il 100% di energia elettrica entro il 2050
Ma c’è un problema non trascurabile, quello delle risorse (soprattutto il rame)
[16 Ottobre 2014]
Si è conclusa la prima valutazione globale del ciclo di vita delle fonti di energia pulite, e per le rinnovabili sembrano esserci davvero buone notizie. La conclusione cui sono giunti i ricercatori è infatti che, già entro il 2050, le rinnovabili potrebbero fornire l’intero fabbisogno mondiale di elettricità. La ponderosa analisi, dal titolo “Integrated life-cycle assessment of electricity-supply scenarios confirms global environmental benefit of low-carbon technologies” pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) da un team di ricercatori norvegesi, statunitensi e cinesi.
I ricercatori sottolineano che «la decarbonizzazione della produzione di energia elettrica è in grado di supportare la mitigazione dei cambiamenti climatici e presenta l’opportunità di affrontare l’inquinamento derivante dalla combustione di combustibili fossili», ma sottolinea che «In generale, le tecnologie rinnovabili richiedono investimenti iniziali più elevati in infrastrutture dei sistemi di alimentazione fossili».
Per questo il team di scienziati, guidato da Edgar Hertwich e Thomas Gibon, del Dipartimento energy and process engineering dell’Università norvegese per la scienza e la teconologia, ha presentato il primo life-cycle assessment (Lca) integrato, globale, a lungo termine e su vasta scala sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (fotovoltaico e solare termico, eolico e idroelettrico) e sulla carbon capture and storage (Ccs) per la produzione di energia fossile. Lo studio lascia fuori altre energie, come le bioenergie, la conversione di mais, canna da zucchero o altre colture in etanolo per il carburante, perché avrebbe richiesto una valutazione globale del sistema alimentare, e l’energia nucleare perché non la ritiene un’energia pulita a causa delle valutazioni contrastanti e della produzione di scorie.
Lo studio ha messo a confronto «le emissioni che causano esposizione particolato, ecotossicità, eutrofizzazione dell’acqua dolce, e il cambiamento climatico per gli scenari di mitigazione del cambiamento climatico (Blue Map) e business-as-usual (Baseline) di business-as-usual (baseline) dell’ International Energy Agency fino al 2050». Il team di ricerca spiega: «Abbiamo utilizzato un vintage stock model per condurre un Lca di anno in anno della nuova capacità installata per ogni regione, il che rappresenta quindi le variazioni del mix energetico utilizzato per la produzione di future centrali. Secondo il Baseline scenario, le emissioni di inquinanti atmosferici ed idrici saranno più che del doppio, mentre le tecnologie low-carbon introdotte nello scenario Blue Map consentiranno un raddoppio della fornitura di energia elettrica, mentre stabilizzeranno o addirittura ridurranno l’inquinamento».
Però c’è un problema: la richiesta di materie prime per unità produttiva delle tecnologie low-carbon può essere superiore a quello per la produzione fossile convenzionale: «11 – 40 volte più rame per impianti fotovoltaici e 6 -14 volte più ferro per impianti eolici», ma non sembra un problema insormontabile perché i ricercatori dicono che è sufficiente la produzione globale di rame di due anni ed un anno di produzione del ferro «per costruire un sistema energetico low-carbon in grado di fornire fabbisogno di energia elettrica del mondo nel 2050».
Questo fa scrivere a Tim Radford su Ecologist che «Un’economia low-carbon non è solo fattibile: in realtà potrebbe raddoppiare l’alimentazione di energia elettrica entro il 2050, riducendo anche l’inquinamento dell’aria e dell’acqua» e che «Anche se l’energia fotovoltaica richiede fino a 40 volte più del rame delle centrali elettriche convenzionali e l’energia eolica utilizza fino a 14 volte più ferro, il mondo ci guadagna con il passaggio alle energie low-carbon».
La ricerca considera l’intero ciclo di vita di solare, eolico ed idroelettrico e la paragona a quella delle centrali a gas a carbone con un eventuale utilizzo di tecnologie Ccs, (ancora sperimentali e molto costose e rischiose) , poi prende in considerazione la domanda di alluminio, rame, nichel e acciaio, silicio, vetro, zinco e clinker (gli ossidi che sono un componente chiave della produzione di cemento) per la produzione di energia “clean” e “dirty”, quindi valuta gli impatti ambientali e dell’utilizzo del suolo delle nuove centrali ed i vantaggi e gli svantaggi economici derivanti da un aumento della quantità di energia rinnovabile per l’estrazione e la raffinazione dei minerali necessari per aumentare ancora di più l’energia pulita.
Dei due scenari presi in esame, uno prevede l’aumento del 134% della produzione mondiale di elettricità entro il 2050, con i combustibili fossili che rappresentano i due terzi del totale; un altro nel quale i la domanda di energia elettrica nel 2050 sale del 13% perché il consumo di energia diventa più efficiente. Così i ricercatori hanno scoperto che per realizzare nuove fonti di energia, la domanda di ferro e acciaio potrebbe aumentare solo del 10%, mentre quella di rame da 11 a 40 volte rispetto alle centrali fossili.
«La nostra analisi – concludono i ricercatori – indica che l’implementazione su asta scala di eolico, PV [solare] e CSP [Concentrated Solar Power] ha il potenziale per ridurre gli impatti ambientali connessi con l’inquinamento da produzione di energia elettrica, come le emissioni di gas serra, l’ecotossicità, l’eutrofizzazione dell’acqua dolce e l’esposizione a articolato. L’inquinamento causato dalle esigenze più elevate di materie prime di queste tecnologie è minore rispetto alle emissioni dirette delle centrali elettriche a combustibili fossili. Il fabbisogni di materiali appare gestibile ma non trascurabile rispetto ai tassi correnti di produzione di questi materiali. Il rame è l’unico materiale preso in esame ella nostra analisi la cui fornitura può essere una preoccupazione».