Rinnovabili, nell’ultimo anno la capacità installata nel mondo è cresciuta del 9,1%
Irena: «L’attuale crisi energetica è un’ulteriore dimostrazione che il mondo non può più contare sui combustibili fossili per soddisfare la domanda di energia»
[11 Aprile 2022]
Nonostante un contesto di grande incertezza, alimentato sia dalla pandemia sia dalla volatilità sui mercati delle materie prime, le rinnovabili hanno navigato con successo nelle agitate acque del 2021: secondo il nuovo rapporto Renewable capacity statistics 2022, elaborato dall’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), nell’ultimo anno la capacità globale di generazione di energia rinnovabile ammontava a 3.064 Gigawatt, con un incremento del 9,1% sul 2020.
«Questo continuo progresso è un’altra dimostrazione della resilienza delle energie rinnovabili. L’ottima performance dell’anno scorso evidenzia maggiori opportunità per i Paesi di raccogliere i molteplici benefici socio-economici delle rinnovabili. Tuttavia, nonostante la tendenza globale incoraggiante, il nostro nuovo World energy transitions outlook mostra che la transizione energetica è lontana dall’essere sufficientemente rapida o diffusa per evitare le terribili conseguenze del cambiamento climatico», spiega il direttore generale dell’Irena, Francesco La Camera.
Più nel dettaglio, il report mostra che il solare e l’eolico hanno continuato a dominare la nuova capacità di generazione. Insieme, entrambe le tecnologie hanno contribuito per l’88% alla quota di tutta la nuova capacità rinnovabile nel 2021. La capacità solare si è posizionata in testa con il 19% di aumento, seguita dall’energia eolica, che ha accresciuto la sua capacità di generazione del 13%; come risultato, per la prima volta, la capacità solare globale totale ha ora superato la capacità installata di energia eolica.
Anche per le altre fonti rinnovabili si registrano comunque progressi importanti: ad esempio, per quanto riguarda la geotermia la capacità installata «ha vissuto una crescita eccezionale nel 2021, con l’aggiunta di 1,6 GW».
«L’attuale crisi energetica è un’ulteriore dimostrazione che il mondo non può più contare sui combustibili fossili per soddisfare la domanda di energia. Gli investimenti nelle centrali elettriche a combustibile fossile producono risultati insoddisfacente sia per la sopravvivenza di una nazione sia per il pianeta. L’energia rinnovabile dovrebbe diventare la norma in tutto il mondo. Dobbiamo mobilitare la volontà politica ad accelerare il percorso verso l’obiettivo di 1,5°C», sottolinea La Camera.
Un tema che riguarda molto da vicino il nostro Paese, dato che tra il 2015 e il 2019 le fonti rinnovabili sono cresciute solo del 3% in Italia, a fronte di una media Ue del 13%. E pensare che fino a un decennio fa l’Italia era un leader di settore: per Legambiente, se lo sviluppo delle rinnovabili – limitando l’analisi per semplicità a solare ed eolico – fosse andato avanti con lo stesso incremento annuale medio registrato nel triennio 2010-2013 (pari a 5,9 GW l’anno, contro il dato attuale inferiore a 1 GW), oggi l’Italia avrebbe 50 GW in più di impianti e sarebbe stata così in grado di ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, tagliando le importazioni di gas dalla Russia del 70%.
Oggi, per raggiungere gli obiettivi climatici, le rinnovabili devono crescere a un ritmo più veloce della domanda di energia. Tuttavia, molti Paesi non hanno ancora raggiunto questo livello, nonostante l’aumento significativo dell’uso delle rinnovabili per la produzione di elettricità.
Il 60% per cento della nuova capacità nel 2021 è stato installato in Asia, per un totale di 1,46 Terawatt (TW) di capacità rinnovabile nel 2021; la Cina ha apportato il contributo maggiore, con un incremento di 121 GW alla nuova capacità del continente. L’Europa e l’America del Nord, guidata dagli Stati Uniti, hanno ottenuto rispettivamente il secondo e il terzo posto, con l’Europa che ha installato 39,1 GW (+6,4%) e gli Stati Uniti 38 GW. La capacità di energia rinnovabile però è cresciuta meno nel sud del mondo, ovvero del 3,9% in Africa e del 3,3% in America Centrale e nei Caraibi.