Rinnovabili, Red II e direttiva mercato elettrico: il tempo è un fattore cruciale

Circa 200 pagine per oltre 70 articoli: è il contenuto dei due schemi di decreti legislativi, predisposti dal Mite, che arrivano però già in ritardo rispetto ai nuovi obiettivi europei

[3 Settembre 2021]

A poco più di un mese dall’approvazione da parte del Governo, avvenuta il 5 agosto, sono sbarcati in Parlamento i due schemi di decreto legislativo che recepiscono rispettivamente la direttiva europea sulle energie rinnovabili Red II (2018/2001) e quella sul mercato interno dell’energia elettrica (2019/904). I testi dei due atti sono disponibili qui e qui.

Le commissioni parlamentari competenti avranno adesso tempo fino al 16 settembre per presentare i pareri in merito, proseguendo così l’iter parlamentare per arrivare al recepimento definitivo delle direttive Ue.

Anche in questo caso, del resto, il tempo del resto è un fattore tutt’altro che secondario. Almeno per due ordini di motivi, come risulta evidente guardando ai contenuti del Dlgs relativo alla direttiva sulle fonti rinnovabili.

Il primo motivo guarda ai target indicati dalla Red II: entro il 2030, a livello europeo, le energie rinnovabili dovranno incidere per almeno il 32% sul consumo finale lordo di energia. L’Italia contribuirà all’obiettivo tenendosi sotto media, ovvero fermandosi al 30%, un salto che comunque appare sfidante visto l’asfittico trend d’istallazione per i nuovi impianti.

Ad oggi nel nostro Paese solo il 18% circa del consumo finale lordo di energia è assicurato dalle fonti rinnovabili (mentre l’Ue nel suo complesso è poco più avanti, al 19,7%). Eppure anche nel 2020 le nuove installazioni di impianti alimentati da fonti rinnovabili sono nuovamente scese vicino alla soglia di 1 GW – mentre l’Europa ne installava 30, il mondo 260 –, un dato molto lontano dagli almeno 7 GW che dovremmo realizzare ogni anno per rispettare i nuovi obiettivi Ue al 2030.

Un passo da tartaruga, che non può che ritardare anche i progressi sul fronte dell’impegno climatico. Guardando infatti al di là del temporaneo crollo delle emissioni nel 2020 legato alla pandemia, a fine 2019 le emissioni italiane di CO2 erano pressoché paragonabili a quelle registrate nel 2014 – cumulando di fatto cinque anni di stallo – e da allora non a caso anche le cui installazioni di nuovi impianti rinnovabili cresce col contagocce.

Il secondo motivo è che, semplicemente, la direttiva Red II che l’Italia s’appresta a recepire è ormai già superata nei fatti. Nelle scorse settimane, con il pacchetto “Fit for 55” presentato dalla Commissione Ue per traguardare entro il 2030 un taglio delle emissioni climalteranti pari al 55% rispetto al 1990 (mentre finora a livello comunitario abbiamo conseguito un -24%, e in Italia un ancor più magro -19,4%) si è già affacciata sul panorama legislativo la direttiva Red III, con l’obiettivo di «produrre il 40% della nostra energia da fonti rinnovabili entro il 2030».

Per l’Italia significa più che raddoppiare i risultati raggiunti finora, in meno di un decennio. Per farlo occorre però riuscire a superare il moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto sul territorio, che rappresentano uno dei principali motivi di freno alle nuove installazioni, assieme a un asffissiante iter di permitting che lascia gli impianti prevalentemente su carta. Sotto questo profilo rispettare i dettami della direttiva Red II potrebbe aiutare non poco, con un processo autorizzativo che non dovrebbe superare i due anni prima di giungere a conclusione, mentre adesso l’Italia veleggia su una media di circa 7 anni.

Uno stato dell’arte che spiega perché nello schema di Dlgs licenziato dal Governo «l’approccio per le autorizzazioni è quello della semplificazione e di una partecipazione positiva degli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni tramite un percorso condiviso di individuazione di aree idonee. Per gli incentivi, la scelta è quella di introdurre una forte semplificazione nell’accesso ai meccanismi e, al contempo, fornire una maggiore stabilità tramite l’introduzione di una programmazione quinquennale, al fine di favorire gli investimenti nel settore. Centrale – sottolineano dall’esecutivo – la realizzazione delle infrastrutture necessarie per la gestione delle produzioni degli impianti a fonti rinnovabili: prevista un’accelerazione nello sviluppo della rete elettrica e della rete gas e semplificazioni per la realizzazione degli elettrolizzatori alimentati da fonti rinnovabili».

Complementare a quest’approccio è lo schema di Dlgs sul mercato elettrico, con cui «si introducono disposizioni volte a disciplinare le nuove configurazioni delle comunità energetiche dei cittadini in modo coordinato con le disposizioni previste dalla direttiva 2001/2018», introducendo al contempo novità di rilievo come per la volontà di utilizzare (a partire dal 2022) una quota dei proventi annuali derivanti dalle aste della CO2 «alla copertura dei costi di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell‘efficienza energetica mediante misure che trovano copertura sulle tariffe dell’energia».

Come ricorda la relazione illustrativa che accompagna l’atto in Parlamento, complessivamente la direttiva Ue 2019/944 stabilisce norme comuni per la generazione, la trasmissione, la distribuzione, l’accumulo e la fornitura dell’energia elettrica, unitamente a disposizioni in materia di protezione dei consumatori, di funzioni e organizzazione dei gestori delle reti di trasmissione e distribuzione e di indipendenza delle autorità di regolazione, al fine di creare nell’Unione europea mercati dell’energia elettrica effettivamente integrati, competitivi, flessibili, equi e trasparenti.

Come spiegano dal Governo, lo schema di Dlgs punta a «rafforzare i diritti dei clienti finali in termini di trasparenza (delle offerte, dei contratti e delle bollette), a completare la liberalizzazione dei mercati al dettaglio salvaguardando i clienti più vulnerabili, ad aprire maggiormente il mercato dei servizi a nuove tipologie di soggetti quali la gestione della domanda e i sistemi di accumulo, a prevedere un ruolo più attivo dei gestori di sistemi di distribuzione, a regolare la possibilità di istituire sistemi di distribuzione chiusi, ad aggiornare gli obblighi di servizio pubblico per le imprese operanti nel settore della generazione e della fornitura di energia elettrica, ad introdurre un sistema di approvvigionamento a lungo termine di capacità di accumulo con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo degli investimenti necessari per l’attuazione degli obiettivi del Pniec». Un Piano che resta però ancora da aggiornare, dato che quello in vigore è nato già vecchio e continua ad invecchiare sempre più rapidamente.

Un quadro che resta dunque nel complesso scoraggiante, ma che offre due novità d’interesse. L’art. 18 dello schema di Dlgs introduce infatti disposizioni per promuovere gli investimenti per lo sviluppo di nuova capacità di stoccaggio, funzionali agli obiettivi di crescita della generazione da fonti rinnovabili e per la loro integrazione nel mercato dell’energia elettrica.

L’articolo di legge dalle maggiori potenzialità resta però con tutta probabilità il numero 14, introducendo le disposizioni volte a disciplinare le nuove configurazioni delle comunità energetiche dei cittadini, in modo coordinato con le disposizioni previste dalla direttiva 2001/2018 in materia di comunità energetiche rinnovabili. È da qui che potrà passare una fetta rilevante della rivoluzione energetica che attende il Paese, contribuendo anche – questo l’auspicio – a superare almeno in parte il tafazziano diffondersi delle sindromi Nimby e Nimto che mina lo sviluppo sostenibile italiano.

Quest’articolo è stato realizzato in collaborazione con RiEnergia, il portale d’informazione ideato da Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche in collaborazione con Staffetta Quotidiana