Ripetere il mantra del turismo sostenibile non basta per raggiungere l’obiettivo
La presidenza Trump, la bassa competitività delle imprese e i movimenti anti-turisti mettono a nudo le difficoltà del sistema
[16 Febbraio 2017]
Il 2017 è stato dichiarato dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Mondiale del Turismo come anno del turismo sostenibile. In molti paesi e regioni del mondo – in prima linea quelle dove la vocazione turistica è più importante, come nel caso della Toscana in Italia –, è il momento degli annunci e delle buone intenzioni.
In realtà da ormai molti anni il “turismo sostenibile” è mantra irrinunciabile di ogni politica turistica, sino ai limiti dell’ovvietà: avete forse mai visto qualcuno che si dichiari a favore di un turismo non sostenibile? Quando dalla proclamazione si passa all’attuazione, il principio della sostenibilità cede però il passo a molti compromessi – com’è successo, per rimanere nel contesto italiano, pure in Toscana che è anche la regione delle villette a schiera di Monticchiello, della spiaggia “bianca” di Vada e delle città d’arte iper-congestionate.
Ci sono tuttavia almeno tre importanti motivi di attualità su questo tema, che consiglierebbero maggiore impegno nel precisare gli obiettivi e più forte determinazione nel realizzarli. Il primo si chiama Donald Trump. Ci riferiamo alla prospettiva che la principale economia mondiale provi a ricostruire la propria competitività in un quadro protezionistico, principalmente attraverso un allentamento dei vincoli di tutela ambientale e dei costi relativi per le imprese “forzate” a mantenere i propri investimenti sul territorio americano. Non è improbabile che una simile impostazione possa diffondersi anche ad altri paesi e che l’ambientalismo finisca in parte per perdere il livello di legittimazione sociale e politica sin qui costruito, riaprendo anche dossier che consideravamo ormai fuori discussione (come quello sul riscaldamento climatico). Se ciò accadesse, lo scenario di sviluppo del turismo ne risulterebbe profondamente modificato.
Il secondo motivo è che, nonostante i risultati positivi dell’economia turistica negli ultimi anni, permane un problema di competitività delle nostre destinazioni e soprattutto delle nostre imprese. In una strategia di alto profilo (l’unica percorribile da parte della Toscana e di tante altre regioni italiane ed europee) la qualità ambientale e i comportamenti coerenti con i principi della sostenibilità non sono un costo, ma una componente essenziale della qualità complessiva attesa e percepita dal turista. Sino a che punto ne sono consapevoli gli stessi operatori turistici (albergatori, ristoratori, trasportatori, gestori di spiagge e d’impianti, etc)? E l’integrazione che viene suggerita tra la sostenibilità e tematiche complementari (come quella dell’accessibilità ai portatori di handicap) non dev’essere essa stessa assunta come un problema non solo di rispetto delle regole, ma anche di qualità e competitività?
Infine, il terzo motivo è che un turismo meno sostenibile rischia di esserlo non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello politico e sociale. La crescita dei movimenti anti-turismo continua. Nell’opinione pubblica di molti luoghi e città turistiche al mondo si radicano percezioni e sentimenti che nel turismo fanno vedere sempre meno la fonte di ricchezza e l’occasione di dialogo ed invece accendono riflettori sullo sfruttamento del lavoro, sulla violazione di spazi e identità, sulla distruzione di risorse e qualità del vivere.
Il turista impara (talora lentamente, è vero) ad essere più responsabile, ma attenzione alla facile demagogia che vede nella “invasione” dei turisti la fonte e il luogo di tutti i problemi di sostenibilità. Esiste anche l’esigenza (profondamente politica) di dare alla cultura, ai valori e all’economia dell’accoglienza una solidità e un radicamento nuovo. E nell’era in cui ritornano prepotenti i “sacri egoismi” (nazionali e locali), anche il turista potrebbe ritrovarsi di là dal muro.