I salari cinesi sono più alti di quelli di Brasile, Argentina e Messico. Ma in Cina ci sono ancora 45 milioni di poveri
Il modello cinese potrebbe essere copiato in America Latina e altrove
[27 Febbraio 2017]
Secondo un rapporto di Euromonitor International, ripreso dal Financial Times, la paga oraria di un operaio cinese ha ormai raggiunto quella di un lavoratore greco o portoghese e i salari medi nel settore manifatturiero cinese hanno superato quelli di Paesi come il Brasile e il Messico e i redditi della forza lavoro cinese, complessivamente, superano quelli di tutti i principali Stati dell’America Latina, Cile escluso, mentre restano in media del 70% al di sotto di quelli della zona euro.
Secondo il Financial Times «Queste cifre indicano i progressi che la Cina ha compiuto nel migliorare gli standard di vita dei suoi 1,4 miliardi di abitanti» e alcuni analisti dicono che in Cina l’aumento delle produttività potrebbero spingere i salari ancora di più in alto di alcuni dei Paesi ritenuti a medio reddito. «Ma – aggiunge il giornale economico britannico – il rapido aumento dei livelli salariali significa anche che la Cina potrebbe iniziare a perdere posti di lavoro verso altri Paesi in via di sviluppo».
Nonostante tutto questo, il governo cinese ha deciso di reinstallare nelle regioni sviluppate, entro quest’anno, 3,4 milioni di persone che attualmente vivono in regioni poverissime. La Commissione nazionale dello sviluppo e della riforma, che pianifica lo sviluppo economico cinese ha anche rivelato che nel 2016 sono state reinstallate 2,49 milioni di persone che vivevano in povertà.
Dopo quasi 80 anni di “comunismo” in Cina l’eguaglianza è ancora un miraggio ed è lo stesso governo ad ammettere che ci sono 45 milioni di persone che vivono in povertà e che molte di loro vivono in regioni senza strade, acqua potabile ed elettricità.
Per questo, ieri il governo centrale cinese si è dato l’obiettivo di eradicare la povertà entro il 2020 «Anno durante il quale la Cina ha anche l’ambizione di diventare una società “moderatamente prospera” – spiega l’agenzia ufficiale Xinhua – Il Paese confida nella sua capacità di riuscirci».
Una nota ufficiale spiega che «Da 30 anni, la Cina ha mantenuto una crescita economica vertiginosa, ma i frutti dello sviluppo devono essere condivisi tra la sua popolazione di 1,3 miliardi di persone. Il fossato tra ricchi e poveri resta considerevole e il governo cinese ne è cosciente. Più di 55 milioni di persone sono uscite dalla povertà durante gli ultimi 4 anni, cioè il doppio della popolazione del Texas. Però, gli sforzi devono proseguire fino a che l’ultima persona in miseria trovi il suo posto nella società».
Il Partito comunista cinese (Pcc) mette l’accento sulla “precisione” di questa campagna contro la povertà, perché ne beneficino davvero i più poveri: «Non dovete bombardare delle pulci con delle granate. Vale a dire che risorse appropriate vanno distribuite nei posti giusti e al momento giusto». La responsabilità di questa campagna contro la povertà ricadrà sui quadri locali del Pcc e la riduzione della povertà rappresenterà un criterio importante per la loro carriera e, conoscendo i suoi polli, il governo e il Partito avvertono che «La corruzione, la frode e lo stornamento dei fondi destinati alla riduzione della povertà saranno sanzionati molto severamente. E’ questo stile di lavoro pragmatico e assiduo che ha ermesso di realizzare progressi incredibili in Cina».
Ma anche i comunisti cinesi prendono atto che «E’ facile lanciare una “guerra contro la povertà”. E’ più difficile eradicare le cause profonde della povertà». Dopo 80 anni di socialismo reale diventato turbo-capitalismo di Stato, ora nei palazzi del potere di Pechino dicono che «La Cina è il più grande laboratorio di sperimentazioni economiche, politiche e sociali, ha bisogno di coraggio e di saggezza. Centinaia di misure riformatrici hanno riguardato l’educazione, le cure mediche, la finanza e l’innovazione. La maggior parte si sono rivelate efficaci. Grazie a una formazione in materia di Internet, decine di migliaia di contadini hanno cominciato a vendere i loto prodotti online ed hanno visto aumentare i loro redditi. E’ possibile che il modello cinese non funzioni in altri Paesi a causa dei sistemi e delle fasi di sviluppo diversi, ma può darsi che gli sforzi cinesi possono dimostrare al mondo che la povertà può essere eradicata con delle promesse realizzabili ed azioni concrete da parte dei governi».
Insomma, di fronte all’isolazionismo degli Usa di Trump, la Cina propone il suo modello, che potrebbe essere – e in parte già lo è – molto attraente per l’America Latina, dove i salari sono fermi o in calo, o per Paesi in dissesto economico come la Grecia, dove i salari orari medi si sono più che dimezzati dal 2009.
Secondo Euromonitor , nel settore manufatturiero cinese i salari medi orari sono triplicati manifatturiero tra il 2005 e il 2016, raggiungendo i 3,60 dollari, mentre nello stesso periodo in Brasile sono calati da 2,90 a 2,70 dollari all’ora, da 2,20 a 2,10 $ in Messico e da 4,30 a 3,60 $ in Sud Africa. Dopo l’adesione di Pechino all’Organizzazione mondiale del commercio, i salari cinesi hanno superato quelli di Argentina, Colombia e Thailandia. Mentre i salari cinesi registravano un boom, quelli indiani – pur in netta crescita – sono rimasti a 0,70 dollari all’ora, mentre in Portogallo le politiche neoliberiste li hanno fatti calare in 10 anni dai 6,30 dollari all’ora del 2007 ai 4,50 del 2016, anche se il nuovo governo di sinistra punta a rialzarli. In alcune aree dell’Europa orientale i lavoratori guadagnano meno di quelli cinesi.
Questo però non si traduce in Cina in una reale redistribuzione dei redditi e i ricchi diventano più ricchi, mentre le sacche di povertà urbana – soprattutto i lavoratori clandestini interni – aumentano. Ma nell’insieme il reddito medio cinese è in crescita con le paghe orarie medie passate dagli 1,50 $ del 2005 ai 3,30 $ del 2016.
Oru Mohiuddin, un analista stretegico di Euromonitor, è convinto che comunque le grandi multinazionali resteranno a produrre in Cina, perché insieme ai salari cresce anche la produttività e la dimensione sempre più gigantesca del mercato interno cinese– il 20% nel 2020, quanto Europa occidentale e Nord America – assorbirà bene l’impatto dell’aumento del costo del lavoro.
L’unico vero rischio che corre la Cina è il rapido invecchiamento della sua popolazione, con una riduzione delle persone in età lavorativa, il che potrebbero portare ad una maggiore pressione salariale nei prossimi anni.