Senza il riciclo la raccolta differenziata non serve: i Comuni lo sanno?
Anche quando le amministrazioni pubbliche riescono a investire in arredi urbani, a essere snobbati sono i beni prodotti con materiali riciclati. Con tanti saluti all’economia circolare
[11 Gennaio 2018]
Ci risiamo. Anche quando si prende la giusta strada si fanno le cose a metà, guarda caso dimenticandosi sempre la stessa metà: il riciclo.
Prendiamo ad esempio il comune di Livorno (solo perché la notizia è di questi giorni e perché è la città che ospita la nostra redazione). L’incipit del comunicato stampa è euforico: “Aumentano gli spazi gioco disponibili in città dove i bambini potranno divertirsi in totale sicurezza, godendo delle giornate all’aria aperta specialmente nella bella stagione. L’Amministrazione comunale ha deciso infatti di investire complessivamente 445 mila euro in progetti che riguardano la manutenzione del verde delle scuole e la riqualificazioni di parchi urbani, con predisposizione in entrambi i casi di attrezzature gioco da esterno”. Benissimo, tanto di capello al Comune, che al giorno d’oggi riesce a trovare quasi mezzo milione da spendere per i parchi giochi e le aree verdi.
Anche se il bravi è solo a metà perché, incredibilmente, il Comune che in appena un paio d’anni punta a passare interamente il proprio territorio alla raccolta differenziata porta a porta dei rifiuti fregiandosi sul petto la stelletta di Comune a “rifiuti zero”, dimentica che senza il riciclo (e senza qualcuno che riacquista prodotti in materiale riciclato) la raccolta differenziata non serve a nulla.
Bastava inserire nel bando per i nuovi arredi un obbligo (o anche solo una premialità) per chi avesse proposto arredi urbani e giochi in materiale riciclato. Come fanno tantissimi comuni in Italia e come a maggior ragione avrebbe potuto fare il Comune di Livorno, che controlla al 100% il gestore dei servizi di igiene urbana Aamps, che è cliente e addirittura socio – seppur con una percentuale irrisoria – di una delle pochissime aziende italiane che riciclano il plasmix, producendo profili in plastica riciclata con cui si fanno gli arredi urbani (Revet).
Roba da teatro dell’assurdo. Eppure c’è anche di peggio: eh sì, perché la Revet (una trentina di chilometri da Livorno) ha il suo stabilimento nel Comune di Pontedera. Il quale un anno fa non solo non ha inserito alcun cenno all’utilizzo di materiali riciclati nel suo ultimo bando per arredi urbani e parchi giochi, ma ha addirittura richiesto esplicitamente che gli arredi fossero in acciaio: un po’ come se il comune di Siena offrisse il dolce ai suoi cittadini e invece di dargli il panforte gli servisse solo cassatine siciliane.
Per dovere di cronaca, ricordiamo che l’attuale giunta comunale di Livorno a cui sta tanto a cuore la strategia “rifiuti zero” ma – a quanto pare – non il riciclo è targata 5 Stelle, mentre il Comune di Pontedera è a guida Pd. Ma il problema non è certo circoscritto ai due Comuni o al territorio della Toscana, che anzi spesso esercita un ruolo-guida a livello nazionale in fatto di politiche ambientali. Il problema è di tutto il Paese, come mostrano Assorecuperi e Fise Unire, che recentemente hanno sottolineato come in Italia la domanda di prodotti riciclati cresca più lentamente dell’offerta; una parte consistente di questo deficit è attribuibile proprio alle amministrazioni pubbliche, che dovrebbero attuare quanto previsto dalla normativa sul Green public procurement (Gpp) realizzando “acquisti verdi”.
Così non è, purtroppo. A testimonianza di come ogni schieramento politico possa e debba migliorare ancora molto nella concreta promozione del riciclo e dell’economia circolare, a partire dai territori dove esercitano forza di governo; la recentissima introduzione in legge di Bilancio di incentivi – seppur dall’importo modesto – per l’acquisto di prodotti e arredi derivanti dal riciclo del plasmix potrebbe essere un buon modo per iniziare a fare sul serio.