Solo il 9% dell’economia globale è davvero circolare
Quest’anno l’Unesco celebra la tavola periodica inventata da Mendeleev, ma dopo 150 anni molti di quegli elementi chimici sono sovrasfruttati e a rischio esaurimento
[19 Febbraio 2019]
Nonostante la sensibilità crescente dedicata ai temi dell’economia circolare nel dibattito pubblico, concretamente parlando non sono molti i successi raccolti a livello globale nel corso dell’ultimo anno. La seconda edizione del Circularity gap report presentato al World economic forum di Davos mostra anzi una «tendenza negativa». Se dodici mesi fa appena il 9,1% dell’economia globale poteva dirsi davvero “circolare”, adesso la quota si è ulteriormente abbassata al 9%: questo significa che a fronte delle 92,8 miliardi di tonnellate di risorse – minerali, combustibili fossili, metalli, biomasse – che l’umanità ingurgita (e digerisce) ogni anno solo 8,5 miliardi di tonnellate sono frutto di re-impiego. Per il resto si tratta di materiali vergini, in larga parte non rinnovabili.
Non è facile percepire come tutto questo si leghi alle dinamiche della vita quotidiana, ma un gancio importante lo offre la Società chimica europea rielaborando la tavola periodica degli elementi inventata esattamente 150 anni fa dal chimico russo Mendeleev e celebrata quest’anno dall’Unesco: i 90 elementi chimici appaiono sempre nell’ordine del loro numero atomico, ma vengono «disegnati in modo che l’area occupata da ciascun elemento – riassume oggi l’Arpat, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana – dia un’indicazione della quantità di quell’elemento presente nella crosta terrestre e nell’atmosfera». E per rendere più evidente la costante presenza di questi elementi chimici nella nostra vita ai 30 (su 90 totali) comunemente presenti nei nostri smartphone viene dedicato un contrassegno specifico (si veda la tavola riprodotta in alto, ndr).
Di questi 30 elementi chimici oltre la metà è già oggi a disponibilità limitata, sempre più a rischio per il suo crescente utilizzo nei processi industriali oppure già «a grave rischio» in un orizzonte di appena 100 anni. «Con circa 10 milioni di smartphone che vengono scartati o sostituiti ogni mese nell’Unione europea – argomenta l’Arpat – dobbiamo esaminare attentamente le nostre tendenze a sprecare e riciclare in modo improprio tali articoli. A meno che non vengano fornite soluzioni, rischiamo di vedere esauriti molti degli elementi naturali che compongono il mondo che ci circonda, a causa della ridotta disponibilità in natura, della loro ubicazione in aree di conflitto o dell’incapacità di riciclarli completamente. La protezione degli elementi in esaurimento deve essere raggiunta su più livelli. Come individui, dobbiamo chiederci se gli aggiornamenti ai nostri telefoni e ad altri dispositivi elettronici sono veramente necessari, e dobbiamo assicurarci di riciclare correttamente per evitare che la vecchia elettronica non finisca nelle discariche o che inquini l’ambiente. A livello politico, si dovrebbe un maggiore riconoscimento della scarsità degli elementi di rischio, e occorrono azioni per sostenere migliori pratiche di riciclaggio e un’efficiente economia circolare».
Una concreta azione in tal senso porterebbe non solo importanti vantaggi ambientali, ma sarebbe anche fonte di nuova ricchezza: rimanendo all’esempio degli smartphone, ogni anno sono quasi 50 milioni le tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) prodotti nel mondo ma – come evidenzia l’ASviS prendendo in analisi il report “A new circular vision for electronics. Time for a global reboot” – nonostante una tonnellata di e-waste contenga 100 volte più oro rispetto a una tonnellata di minerale, ne ricicliamo appena il 20%.