Una riforma fiscale ecologica per sfuggire al diktat dell’Iva

Da otto anni la politica di bilancio italiana è impiccata alle clausole di salvaguardia, e adesso servono 23,1 miliardi di euro: dalle tasse ambientali potrebbero arrivarne (almeno) 25

[14 Agosto 2019]

Ancora qualche ora di pausa, almeno per le commemorazioni di Genova a un anno dal crollo del ponte Morandi, e poi la cronaca politica tornerà ad essere occupata dallo stanco tormentone dell’estate: la crisi di governo. E se sull’esito finale non c’è ancora niente di scontato il sottofondo è ormai lo stesso dal Governo Berlusconi del 2011, ovvero da quando ogni esecutivo deve confrontarsi con le cosiddette “clausole di salvaguardia” e dunque con il possibile aumento dell’Iva. Quest’anno non fa eccezione: chiunque sarà al governo dovrà fare i conti con la legge di Bilancio approvata da M5S e Lega, che prevede un aumento dell’Iva (dal 22 al 25,2% l’aliquota ordinaria, da l0 al 13% la ridotta) per rispettare i vincoli di bilancio europei – e tutelare le finanze pubbliche – a meno d’interventi correttivi.

Sono dunque otto anni che per inerzia culturale la politica di bilancio italiana è impiccata all’Iva, e la sola differenza è che la cifra in ballo non è mai stata alta come adesso, 23,1 miliardi di euro. È ormai evidente come per far scendere il criceto dalla ruota sia necessario allargare la prospettiva, e non ce ne sarebbe una più adatta al Paese di quella offerta da una riforma fiscale ecologica: chi fosse in cerca d’ispirazione potrebbe recuperare la proposta elaborata a Roma dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea)  proprio a partire dall’era delle “clausole di salvaguardia”, otto anni fa, e da allora sempre ignorata.

Come illustrato più volte sulle nostre pagine dall’economista ambientale Massimiliano Mazzanti, nella sua Environmental fiscal reform – Illustrative potential in Italy l’Eea individua, tra introduzione di tasse ambientali e rimozione di sussidi impropri, un potenziale pari a 25 miliardi di euro in grado di generare da un lato benefici pubblici, attivando processi di innovazione ‘verde’, dall’altro offrendo la possibilità di ridurre altre tasse e in primis il costo del lavoro. Come? All’interno di una riforma fiscale ecologica a gettito invariato si aumentano le tasse sulle risorse naturali e sulle emissioni e si usa il gettito per alimentare le politiche ritenute necessarie: investimenti pubblici in green economy come in ricerca&sviluppo, riduzione del cuneo fiscale, o nella fattispecie anche per evitare l’aumento dell’Iva.

Al contempo le tasse ambientali, che oggi partono da livelli pressoché nulli in Italia (escluse le tasse sull’energia, secondo la classificazione della DG XXI della CE), generano potenzialmente riduzioni di inquinamento, cioè benefici pubblici. Un doppio vantaggio.

In un approccio ampio di questo tipo, che non si limiti ad avvallare o sterilizzare l’aumento dell’Iva, anche l’imposta sul valore aggiunto potrebbe essere rimodulata in senso ambientale, tenendo conto degli impatti ecologici dei vari beni e servizi soggetti a tassazione, come suggerito (tra gli altri) anche da greenreport ormai molti anni fa. Del resto problemi complessi necessitano di risposte complesse, anche se in politica sembrano passate di moda.