Was, il lockdown ha cambiato generazione e gestione dei nostri rifiuti. E gli impianti?
Marangoni: è necessario «affrontare con determinazione le debolezze del nostro Paese nei rifiuti. Carenze di infrastrutture, burocrazia, indecisionismo politico, apatia (o peggio ostilità) sociale»
[14 Gennaio 2021]
Quello appena trascorso è stato un anno sconvolgente sotto molti punti di vista, ma in una società votata alla crescita dei consumi il suo contraltare – ovvero generazione e gestione rifiuti – offrono un punto di vista privilegiato per osservare il cambiamento. Meno rifiuti speciali e urbani, più rifiuti sanitari e un’infrastruttura impiantistica fragile sono l’eredità messa in luce dal lockdown, come spiega Was – Waste strategy, il think tank sull’industria dei rifiuti e il riciclo di Althesys.
Was ha fatto una prima stima delle conseguenze economiche della chiusura di numerose attività, partendo dai settori indicati dal Dpcm del 25 marzo 2020, arrivando al dato di 1 miliardo di euro in meno: è questo l’impatto economico del lockdown di primavera sull’industria dei rifiuti speciali, specchio di un calo compreso tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali solo nelle tre regioni più colpite (e con un elevato numero d’imprese presenti sul territorio, ovvero Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna).
E i rifiuti urbani? Nemmeno qui si è al riparo dagli effetti della pandemia, dato che per la produzione è previsto un calo, conseguente alla contrazione dei consumi: ipotizzando una riduzione del Pil nazionale tra il 6% e 8% su base annua, la minor produzione di RU potrebbe arrivare fino a 2 milioni e mezzo di tonnellate.
Di segno opposto, ovviamente, l’andamento dei rifiuti sanitari, nicchia di mercato assai più piccola e redditizia, che l’improvvisa e imprevedibile impennata dei volumi da gestire sta tuttora mettendo a dura prova: «Le complessità italiane, che da troppo tempo frenano la costruzione di impianti, rischiano – dichiarano da Was – di diventare drammatiche in un comparto dove la termovalorizzazione è necessaria per ovviare ragioni di sicurezza sanitaria».
Dalle dinamiche dell’ultimo anno messe in evidenza nel corso delle numerose audizioni svolte dalla commissione Ecomafie, la gestione dei rifiuti come i Dpi (mascherine, guanti) ha tenuto proprio grazie al calo di altre frazioni di rifiuti (urbani e speciali) ma è indubbio che la pandemia abbia messo in luce le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata una strategia nazionale: i fermi produttivi delle filiere industriali hanno rallentato le possibilità di riciclo, e anche la sempre più utilizzata valvola di sfogo dell’export è stata strozzata. La pandemia ha così messo in chiaro una volta per tutte come il Paese, da solo, non sia in grado di gestire i rifiuti che produciamo; non a caso anche la Direzione investigativa antimafia ha avvisato che «la cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali».
L’esigenza di una svolta è stata riconosciuta apertamente anche in Senato, lo scorso agosto, con la commissione Ecomafie a spiegare che «l’emergenza nella sua fase più acuta ha comportato una diminuzione della produzione dei rifiuti in generale, una diminuzione che però non ha alleggerito i deficit strutturali del sistema impiantistico nazionale che, anzi, hanno visto acuirsi gli effetti della carenza di possibili destinazioni per specifiche tipologie di rifiuti attualmente non gestite sul territorio nazionale per l’assenza di una specifica dotazione impiantistica». Da allora però non si è mosso granché.
«La ricostruzione post-Covid da una situazione drammatica senza precedenti – spiega l’economista Alessandro Marangoni, a capo del think tank Was e ceo di Althesys – dovrà anche ripensare alcuni aspetti del nostro sistema di waste management. Paradossalmente, la crisi indotta dalla pandemia potrà essere un’opportunità per affrontare con determinazione le debolezze del nostro Paese nei rifiuti: carenze di infrastrutture, burocrazia, indecisionismo politico, apatia (o peggio ostilità) sociale».
Da questo punto di vista, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) appena approvato dal Governo sembra molto lacunoso; in parallelo si muove l’iter del Programma nazionale per la gestione rifiuti, avviato dal ministero dell’Ambiente, che dovrebbe esser pronto in 18 mesi. Nel frattempo però continuiamo a produrre rifiuti – 173 milioni di tonnellate l’anno, tra speciali e urbani – senza sapere dove metterli.