Wwf, ogni anno finiscono nel Mediterraneo 570 mila tonnellate di plastica
Anche l’Italia ogni anno riversa in mare 40mila tonnellate di rifiuti plastici. In questo caso il problema non è il materiale in sé, ma la sua mancata gestione a valle del consumo
[7 Giugno 2019]
Alla vigilia della Giornata mondiale degli oceani non ci sono buone notizie per il Mare Nostrum: il nuovo report elaborato dal Wwf documenta come ogni anno finiscano nel Mediterraneo 570 mila tonnellate di plastica, l’equivalente di 33.800 bottigliette gettate in acqua ogni minuto. E nonostante la percezione di una crescente “plasticofobia” nella sensibilità pubblica nei fatti l’inquinamento da plastica sta continuando a crescere, e si prevede che entro il 2050 l’inquinamento nell’area mediterranea quadruplichi.
In questo caso il vero problema naturalmente non è il materiale in sé, ma la sua mancata gestione a valle del consumo, quando diventa rifiuto: «Il meccanismo di gestione della plastica è decisamente guasto – spiega la presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi – i Paesi del Mediterraneo ancora non riescono a raccogliere tutti i propri rifiuti e sono lontani dal trattarli con una modalità efficiente di economia circolare. Il cortocircuito sta nel fatto che mentre il costo della plastica è estremamente basso, mentre quello di gestione dei rifiuti e dell’inquinamento ricade quasi totalmente sulla collettività e sulla natura. Dall’altro lato, perché faccia passi in avanti, il sistema di riciclo dei rifiuti plastici è ancora troppo costoso. Tutti i Paesi dovrebbero rivedere la catena del ciclo di vita della plastica, ridurre drasticamente la produzione e il consumo di plastica e investire seriamente in sistemi innovativi di riciclo e riutilizzo, in cui la plastica non venga sprecata. L’unica rotta possibile per contrastare con efficacia l’inquinamento da plastica dal Mediterraneo è questa».
Le imprese del Mediterraneo mettono infatti sul mercato 38 milioni di tonnellate di manufatti in plastica ogni anno, ma non coprono tutti i costi di gestione dei rifiuti eccessivi che contribuiscono a generare; è anche per questo che solo il 72 % dei rifiuti di plastica viene gestito attraverso un trattamento controllato dei rifiuti, con alcuni Paesi che si comportano meglio di altri. Sotto questo profilo l’Italia galleggia in una sorta di limbo: le sue performance ambientali sono nettamente migliori rispetto a quelle registrate lungo la sponda sud del Mediterraneo, ma ancora non all’altezza dei Paesi più avanzati in Europa.
I numeri del report Wwf parlano chiaro: il nostro Paese ogni anno produce circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui l’80% proviene dall’industria degli imballaggi, e riversa in mare 40mila tonnellate di rifiuti. E il mare si vendica velocemente. L’80% dell’inquinamento marino plastico nel Mediterraneo ritorna a terra entro un decennio, inquinando le spiagge e le coste. Anche il turismo – ben lungi dall’essere un settore economico a impatto zero – è parte del problema e al contempo ‘parte lesa’: «Il flusso turistico incrementa del 30% la produzione di rifiuti plastici nei mesi estivi, ma spiagge e mare sporco allontanano i turisti. L’effetto negativo della plastica in natura colpisce tutta la Blue economy: quella italiana è la terza più grande d’Europa ma l’inquinamento le fa perdere circa 67 milioni di euro l’anno. I settori più colpiti sono proprio il turismo (30,3 milioni di euro) ma anche la pesca (8,7 milioni di euro), il commercio marittimo (28,4 milioni di euro) e bonifiche e pulizia (16,6 milioni di euro)».
Un problema non solo ambientale, dunque, ma anche economico. E molto si potrebbe fare per risolvere il problema usando adeguatamente proprio la leva economica: «In Europa – si legge nel report Wwf – i costi operativi per il riciclo della plastica sono di circa 924 euro per tonnellata, mentre il prezzo medio di vendita del materiale plastico secondario è di 540 euro per tonnellata. Pertanto, il riciclo rimane ampiamente non redditizio».
Non a caso anche le imprese italiane di settore chiedono l’introduzione di un credito d’imposta per sostenere concretamente il riciclo dei rifiuti plastici, ma interventi sono necessari lungo tutti i passaggi della filiera produttiva e di gestione degli scarti. Come documenta l’ultimo report elaborato da Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli Imballaggi in plastica – nonostante le iniziative “plastic free” nel 2018 abbiamo consumato 2.292.000 tonnellate di imballaggi in plastica, più dell’anno precedente. Il 44,5% a stato avviato poi avviato a riciclo, il 43% a recupero energetico e il 12,5% in discarica. Da questi numeri è necessario ripartire per ridurre in primis i tonnellaggi immessi al consumo (e prevenire così la successiva produzione di rifiuti), aumentare il riciclo e il recupero energetico – dotandosi dunque dei necessari impianti industriali sul territorio – per ridurre il più possibile il ricorso alla discarica. E soprattutto sensibilizzare adeguatamente la cittadinanza sulle reali cause dell’inquinamento marino da plastica: la spazzatura che sta invadendo il Mediterraneo è quella che viene impunemente gettata all’aria aperta come in discariche abusive da cittadini, turisti ed attività economiche, non quella che viene conferita dove dovrebbe per essere avviata a recupero di materia, di energia o a smaltimento presso impianti controllati e autorizzati a trattarla.