L’Arabia Saudita rompe le relazioni diplomatiche con l’Iran
Con l'esecuzione di Al Nimr superata la linea rossa tracciata dagli sciiti che i sauditi non dovevano varcare
[4 Gennaio 2016]
L’Arabia Saudita ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Iran. L’annuncio è stato dato in tv dal ministro degli Esteri, Adel al-Jubair, che ha denunciato «Le ingerenze negative ed aggressive dell’Iran negli affari arabi che provocano sovente danni e distruzioni», poi ha aggiunto che i rappresentanti diplomatici di Teheran devono lasciare l’Arabia Saudita entro 48 ore.
Subito dopo anche il Sudan e il Bahrein hanno rotto le relazioni diplomatiche con Teheran, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno richiamato il loro ambasciatore in Iran, accusandolo come i sauditi di ingerirsi negli affari interni dei Paesi arabi del Golfo.
La radio internazionale iraniana Irib sottolinea che «La decisione di Riyadh arriva alla fine di una giornata ad altissima tensione nelle relazioni tra i due paesi dopo la decapitazione dell’imam sciita Nimr al-Nimr, giustiziato insieme a 46 uomini accusati di terrorismo. L’applicazione della pena capitale all’imam, punto di riferimento per la popolazione sciita delle regioni orientali, ha suscitato proteste in Iran, Iraq, Libano, Yemen e Bahrein e in molti altri Paesi musulmani».
La situazione è precipitata dopo che il 2 gennaio la monarchia assoluta saudita ha annunciato di aver giustiziato terroristi legati ad Al Qaeda e sciiti accusati di aver attuato «complotti criminali», compreso lo sceicco Nimr al-Nimr, leader della minoranza sciita dell’Arabia Saudita, arrestato dal regime nel 2012 insieme ad altri 6 sciiti, con l’accusa di aver organizzato le proteste anti-governative pacifiche avvenute tra il 2011 e il 2013.
Durante un discorso ai chierici iraniani a Teheran, il leader della Rivoluzione Islamica, l’ayatollah Seyyed Ali Khamenei, ha duramente condannato l’esecuzione di Nimr al-Nimr e ha «Sottolineando la necessità di tutto il mondo ad agire responsabilmente di fronte a questo ed altri crimini commessi dal regime saudita nello Yemen e in Bahrain». Intanto i manifestanti assalivano l’ambasciata saudita a Teheran e il consolato di Machhad, dandoli alle fiamme e devastandoli.
La mossa dell’Arabia Saudita è tanto azzardata quanto crudelmente meditata: mette sullo stesso piano i terroristi di Al Qaeda (sunnita) e il clero sciita – che sono tra loro acerrimi nemici – e sfida l’Iran e i sempre più imbarazzati alleati occidentali di Riyadh, gettando una gigantesca molotov nell’incendio mediorientale e asiatico e africano che ha contribuito grandemente ad alimentare in Siria e nello Yemen, ma anche in Iraq, Afghanistan, Libia, Sahel, Somalia… Una sanguinosa prova di forza alla quale le cancellerie occidentali rispondono balbettando, incapaci di affrancarsi dall’imbarazzante matrimonio di interessi con un regime integralista wahabita, che ha la stessa ideologia reazionaria, misogina e razzista dello Stato Islamico/Daesh ma che è nostro infedele alleato. Tra i Paesi che dovrebbero essere più imbarazzati c’è il nostro e in particolare il nostro premier Matteo Renzi, fresco di una ossequiosa e fruttuosa visita al monarca assoluto saudita e che niente ha fatto per fermare le spedizioni di armi dalla Sardegna verso l’Arabia Saudita, un Paese in guerra e che viola i diritti umani, in contrasto con la legge italiana che regola l’export di armi. Così come quasi tutta la comunità internazionale tace sul “Vietnam” yemenita nel quale si è impantanata la guerra scatenata dai sauditi e sulle sempre più inquietanti notizie del massiccio ricorso a mercenari latinoamericani, asiatici ed occidentali per uscirne e sconfiggere la resistenza degli sciiti houthi, ancora al potere a Sana’a nonostante i bombardamenti a tappeto dei sauditi e dell’alleanza araba sunnita.
Cosa può provocare la spietata autodifesa del regime saudita, impaurito da una qualsiasi forma e possibilità di democrazia, lo spiega bene Toby Mathiessen, senior researcher dell’università di Oxford, uno dei maggiori esperti mondiali degli sciiti in Arabia Saudita ed autore di “The other saudi: shia, dissent and sectarism”: «La rabbia degli sciiti sauditi è enorme: da due anni nulla accade nella Provincia orientale, l’unica a maggioranza sciita nel regno, quella dove sono concentrati i pozzi di petrolio. La gente non scendeva in strada per timore che le autorità si rivalessero su Al Nimr, ma ora che lui è morto la rabbia esploderà. A mio parere un motivo evidente sulla scelta dei tempi per l’esecuzione non c’è. Quello che è chiaro è la volontà di mandare un segnale alla società saudita e soprattutto ai settori che simpatizzano con l’Isis: il segnale è che gli Al Saud non tollerano alcuna forma di dissenso, che sia violento, o politico o che prenda la forma di discorsi pubblici o manifestazioni. E che sono in prima fila nel combattere gli sciiti, al contrario di ciò che sostiene l’Isis. Le reazioni internazionali riguardo a queste esecuzioni sono state tutto sommato limitate: parole di circostanza da parte dei governi occidentali e degli Stati Uniti. Questo significa che i sauditi potranno continuare a fare ciò che vogliono e non escludo che lo facciano presto: hanno altri detenuti da mettere a morte. Riyad vuole affermare la sua supremazia, in ogni modo. E’ chiaro che ci saranno reazioni sulla scena regionali: basta pensare alla Siria e allo Yemen: per anni in molti paesi del Golfo Persico le comunità sciite hanno fissato nell’esecuzione di Al Nimr una linea rossa, che i sauditi non avrebbero mai dovuto varcare. Ora lo hanno fatto e questo complicherà un certo numero di questioni, se non altro perché Teheran non può più permettersi di farsi vedere debole».
Anche Zeid Ra’ad Al Hussein, alto commissario Onu per i diritti umani, ha condannato l’esecuzione di al-Nimr e degli altri 46 e si è detto «Estremamente proccupato per il recente forte aumento del numero di esecuzioni in Arabia Saudita, dove almeno 157 persone sono state giustiziate nel 2015, contro le 90 nel 2014 e un numero inferiore negli anni precedenti. Adesso, abbiamo assistito praticamente ad un terzo del totale delle esecuzioni del 2015 in una sola giornata. Questo è uno sviluppo molto inquietante, inoltre, diverse di queste persone condannate a morte sono state accusate di crimini non violenti». Zeid Ra’ad Al Hussein ha chiesto al governo saudita di imporre una moratoria sulle esecuzioni capitali e di studiare insieme all’Onu e ad altri partner «delle strategie alternative per combattere il terrorismo».
E’ molto preoccupato e costernato anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha sottolineato che «Lo Sceicco al-Nimr ed un certo numero di altri prigionieri giustiziati erano stati condannati dopo processi che hanno suscitato serie inquietudini quanto alla natura delle accuse e dell’equità del processo». Ban Ki-moon aveva sollevato in diverse occasioni il caso di al-Nimr con le autorità saudite, ma questo non ha impedito all’Onu di nominare proprio l’Arabia Saudita presidente di turno del Consiglio dei diritti umani. Ora a Ban Ki-moon non resta altro che reiterare la sua ferma posizione contro la pena di morte e di sottolineare il crescente movimento internazionale per la sua abolizione. Il suo portavoce ha detto che Ban ha chiesto subito all’Arabia Saudita di bloccare tutte le condanne a morte comminate nel regno.
Ma anche il segretario generale dell’Onu non sembra in grado di prendere le misure necessarie contro la monarchia assoluta saudita e mantenere la calma dopo l’esecuzione di Cheikh al-Nimr ed «a tutti i leader della regione di sforzarsi di evitare di esacerbare le tensioni confessionali», poi ha deplorato la violenza dei manifestanti contro l’ambasciata saudita a Téhéran.
Ma la spietata mossa saudita ha radicalizzato una situazione già sul filo del rasoio e ora parlare e dettare la linea all’Iran sembra soprattutto il clero conservatore sciita che riemerge in tutta la sua importanza ed oscura il riformismo del presidente Hassan Rouhani, che pure non ha mancato di condannare con estrema durezza i sauditi. Il grande ayatollah Naser Makarem-Shirazi ha detto che «L’orribile notizia dell’esecuzione dell’Ayatullah Shaykh al-Nimr e di un gruppo di persone innocenti ha gettato il mondo islamico nella costernazione, soprattutto perché questo crimine è stato commesso con l’accusa di essere Kharijiti e Takfiri. Se vi era ancora qualcuno che nutriva qualche dubbio che i sauditi fossero il centro della fitna (sedizione) e del takfir nel mondo, con questo chiaro esempio tali dubbi sono stati completamente rimossi. Condanniamo fermamente questo crimine orribile che senza dubbio verrà vendicato. Riteniamo inoltre che questa atrocità è stata commessa come atto di rivalsa per i fallimenti sauditi in Iraq, Siria e Yemen, ma dovranno prepararsi a fallimenti ancor più grandi in queste tre regioni. Sicuramente questo crimine non poteva avvenire senza informare gli Stati Uniti, poiché i sauditi anche nelle questioni meno importanti agiscono in conformità al parere americano. Sappiamo che dietro ciò vi è la volontà di creare un conflitto tra sunniti e sciiti, ma sia i sauditi che gli americani hanno sbagliato, perché non abbiamo alcun problema con i nostri fratelli sunniti. Il nostro scontro è con i takfiri ed è condiviso da tutti i musulmani. I sauditi devono inoltre sapere che questo crimine non sarà dimenticato e in futuro vedranno gli effetti di questo atto sprovveduto. Non solo gli sciiti e i sunniti di tutto il mondo condannano fortemente questo crimine, ma anche tutti gli uomini liberi. Quale era la loro colpa? Hanno preso parte ad una ribellione armata? Hanno ucciso qualcuno? L’unica loro colpa era quella di dire che i diritti della minoranza sciita in Arabia Saudita dovevano essere rispettati e che gli sciiti dovevano essere liberi di svolgere le proprie cerimonie religiose. Si tratta forse di un peccato e merita quel grave crimine?»