Inside Gaza: la guerra è una nuova rapina di gas a mano armata?
[31 Luglio 2014]
E’ difficile spiegare la ferocia e il sangue che bagna Gaza, il perché dei bimbi morti nelle scuole e nelle sedi dell’Onu, delle bombe israeliane e dei razzi di Hamas. Certo a rendere possibile l’umana disumanità di quello che sta accadendo, dei morti contati a centinaia, c’è il governo di destra di Israele che nega l’afflato progressista di chi è riuscito a sfuggire al nazismo ed alla persecuzione razziale, c’è l’odio dei palestinesi sedimentato in un conflitto infinito che la comunità internazionale non ha saputo sedare, c’è la fellonia dei regimi arabi, c’è il popolo prigioniero di Gaza che per sfuggire alla corruzione dell’Olp si è buttato nelle braccia integraliste di Hamas che riesce a parlare solo il messaggio guerriero di inutili razzi lanciati a casaccio… ma è come se a questo orrendo quadro ridipinto ogni volta col sangue, a questa nuova Guernica mediorientale, mancasse qualcosa, mancasse il committente, la ragione vera di tanta insensata violenza senza ritorno.
Forse la ragione vera della nuova guerra di Gaza va cercata in quello che ha scritto su The Ecologist Nafeez Mosaddeq, direttore esecutivo dell’Institute for Policy Research & Developmentdi Londra e consulente del Foreign Office britannico, della Royal Military Academy Sandhurst e del Dipartimento di Stato Usa, i cui studi sono stati usati dalla 9/11 Commission. Nell’articolo “Gaza: Israel’s $4 billion gas grab”, pubblicato dal Guardian e da Ecologist, Nafeez Mosaddeq spiega che Israele vuole disperatamente il gas di Gaza come “cheap stop-gap” da 6-7 miliardi di dollari all’anno e due multinazionali gasiere, la British Gas (Bg) e la texana Noble Energy sono in attesa di fare il lavoro sporco, ma prima Hamas deve essere eradicata da Gaza e Fatah ulteriormente umiliata, rendendo vani i colloqui avviati con la russa Gazprom.
Ma su The National Interestin, Allison Good respinge questa tesi: «La corrente offensive nella Striscia di Gaza non è affatto una guerra energetica» ed accusa Mosaddeq di far parte di quei teorici della cospirazione che dicono che l’attacco a Gaza nasconde la decisione di Israele di prendere il controllo del gas palestinese per evitare una crisi energetica. Il problema è che la Good lavora come contractor per Noble Energy, la Big Oil che lavora allo sfruttamento delle riserve petrolifere rivendicate da Israele nel Mediterraneo. Comunque la Good assicura che «Israele non è in alcun modo vicina a sperimentare una crisi energetica e non ha bisogno, urgentemente o nel prossimo futuro, del gas naturale situato al largo di Gaza. Mentre Israele colpendo Gaza non ci guadagna nulla per la sua industria energetica, rischia di perdere molto di più».
Per Mosaddeq la risposta di Good «E’ piena di semplificazioni e distorsioni. Sottolinea che Israele ha recentemente scoperto i campi di Tamar e Leviathan che insieme detengono circa 30 miliardi di piedi cubi di gas – che, sostiene “possono soddisfare le esigenze energetiche interne di Israele per almeno i prossimi 25 anni” e sostenere contemporaneamente maggiori esportazioni». La Good afferma che «Israele non sta usando l’Operation Protective Edge per rubare il giacimento di gas di Gaza Marine ai palestinesi, ed è irresponsabile sostenere il contrario». Per Mosaddeq «Ignora semplicemente l’evidenza» perché all’inizio del 2011 il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva proposto al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas Abu Mazen nuovi negoziati proprio sullo sfruttamento del giacimento di Gaza Marine e il quotidiano economico israeliano Globe scriveva che «La proposta è stata fatta in considerazione della carenza di gas naturale di Israele dopo la cessazione delle forniture di gas dall’Egitto». Poi, nel 2012, Israele ha iniziato a sfruttare unilateralmente il giacimento gasiero da 1,2 miliardi di m3 di Noa South, nel Mediterraneo al largo di Gaza. E sempre secondo Globe, Israele in precedenza aveva evitato di dare il via allo sfruttamento di Noa South «Temendo che questo comporterebbe problemi diplomatici nei confronti dell’Autorità palestinese», visto che il campo gasiero è in parte dentro la zona economica palestinese della Striscia di Gaza. Ma la Good dice che Noble Energy avrebbe convinto il governo israeliano che le trivellazioni offshore non sarebbero sconfinate nell’Area sotto giurisdizione palestinese e che Israele voleva solo collaborare con l’Autorità palestinese per sviluppare Noa South ma che «Alla fine, Israele ha deciso di sviluppare il giacimento di Noa senza alcun accordo ufficiale».
La verità è che mentre venivano fatti fallire i negoziati israelo-palestinesi per sfruttare le riserve di Gaza Marine, Israele nel maggio 2014 intavolava accordi segreti con la Bg, che possiede la licenza per le risorse offshore di Gaza, per accelerare lo sfruttamento dei giacimenti anche nell’area economica palestinese. Secondo la US Energy Information Administration, Gaza Marine Gaza nasconde 1,6 miliardi di m3 di gas recuperabile e l’offshore di Gaza può avere risorse energetiche aggiuntive difficili da determinare, vista «L’incertezza riguardo alla delimitazione marittima tra Israele, Gaza e l’Egitto». Gli stessi Israeliani dicono di aver parlato della questione del gas di Gaza anche con il presidente Usa Barack Obama ed ai colloqui sul gas di Gaza hanno partecipato anche l’inviato personale di Netanyahu, Yitzak Molcho, e l’ex premier britannico Tony Blair come inviato speciale per il Medio Oriente del Quartetto (Usa, Ue, Russia e Gran Bretagna). Chi non c’era erano i leader palestinesi, esclusi per «Sensibilità politiche e per il complesso rapporto tra l’Autorità palestinese e Hamas». Allora il Financial Times scriveva che Netanyahu era molto favorevole al progetto Gaza Marine, «Che vedrebbe i campi sfruttati per conto dell’Autorità palestinese da parte di investitori guidati da BG Group». Se tutto andasse avanti come vogliono Israele e le multinazionali, i giacimenti potrebbero entrare in produzione entro il 2017, «Generando6 – 7 miliardi di dollari di ricavi all’anno». Israele potrebbe così affrancarsi dalle problematiche forniture di gas egiziano, ma addirittura esportare fino al 40% del gas estratto, riducendo la sua dipendenza dal consorzio guidato da Noble e Delek Energy che sta sviluppando i giacimenti offshore di Tamar e re Leviathan. Ma restava un problema: Hamas governa la Striscia di Gaza e quindi il Gaza Marine e l’Autorità Palestinese non può negoziare per conto di Hamas e di qualsiasi accordo che Israele facesse con Ramallah sarebbe dichiarato nullo a Gaza, anche perché Israele rifiuta qualsiasi negoziato con Hamas. Uno stallo che non sono riusciti a sbloccare nemmeno i 4 miliardi di dollari dell’iniziativa di stimolo economico proposta dal segretario di Stato Usa John Kerry, che «Contiene una proposta per lo sfruttamento di Gaza Marine», iniziativa bocciata da Netanyahu che esclude qualsiasi accordo che preveda l’eventuale inclusione di un’entità palestinese in questa operazione.
Il documento che guida le scelte energetiche del governo di destra di Israele sarebbe un rapporto di Sinai Netanyahu e Shlomo Wald realizzato per conto del ministero dell’energia e delle risorse idriche del Ministero. Un documento segreto, approvato nelle segrete stanze del comitato Tzemach. fino a che il quotidiano israeliano Ha’aretz non ne ha pubblicato una copia. Il potente comitato Tzemach raccomanda al governo israeliano di esportare il 53% del suo gas, una quota ridotta al 40% a giugno. Bisogna dire che il rapporto non è stato accolto bene dai principali scienziati israeliani che dicono che la politica gasiera del governo si basa sulla sottovalutazione della futura domanda israeliana e sottovaluta il potenziale produttivo del Paese che richiederà il 50% di gas in più di oggi, mentre i giacimenti di gas offshore saranno esauriti in meno di 40 anni. La stima ottimistica della commissione Tzemach è che Israele avrebbe bisogno di 364 miliardi di m3 di gas, i principali scienziati ribattono che, entro il 2040, Israele avrà bisogno di 650 miliardi di m3 e che «A questo ritmo, anche se Israele decidesse di non esportare gas, entro il 2055 avrà interamente esaurito le sue riserve offshore». Inoltre il rapporto ignora che «E’ probabile che non tutto il gas sia commercialmente estraibile». Il risultato è che Israele non può esportare contemporaneamente gas e averne a sufficienza per soddisfare le sue esigenze interne e che, se esaurisce le sue risorse di gas «Sarà costretto a tornare al petrolio per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, anche se per la produzione globale di petrolio è previsto l’inizio del calo entro il 2035 –fanno notare gli scienziati – Se l’oil output cala del 15%, è probabile che il suo prezzo raggiunga il picco del 550%». Preoccupazioni aggravate dagli carsi rendimenti s di giacimenti gasieri come Sara, Myra, Ishai ed Elia-3 presentati come molto ricchi dal governo israeliano. Ci sono problemi anche per il grosso giacimento di Leviathan, che doveva essere avviato nel dicembre 2013 ma che ha dovuto fare i conti con le alte pressioni del gas a profondità inferiori. Israele potrebbe a trovarsi ad affrontare una carenza di gas già nel 20215 e gli accessibili giacimenti di Gaza Marine sarebbero un “tappabuchi” ideale ed a buon mercato, se non ci fosse il fastidioso problema delle rivendicazioni palestinesi.
Grazie al Freedom of Information Act, il think-tank Al-Shabaka è riuscito ad ottenere documenti del Foreign Office britannico che rivelano che nel novembre 2009 Israele aveva rifiutato di pagare il prezzo di mercato per il gas di Gaza. Nel giugno 2010 il Consolato britannico a Gerusalemme scriveva che, nonostante le grandi riserve di gas scoperte tra Israele e Cipro, che daranno ad Israele l’opportunità di diventare un esportatore netto di gas, gli israeliani vedono il potenziale del Gaza Marine come «Una misura tampone prima che i nuovi giacimenti siano completamente in funzione». L’8 febbraio 2011 l’ambasciatore britannico in Israele, Matthew Gould, scriveva al Foreign Office che Israele intende sviluppare comunque le risorse gasiere di Gaza, soprattutto dopo gli attacchi ai gasdotti in Egitto.
Secondo Mosaddeq, «Il più grande ostacolo per quello a cui è interessato Israele sono Hamas, l’Autorità palestinese e la prospettiva di un forte Stato palestinese indipendente». E Hamas è la grana più grossa, visto che, appena preso il potere a Gaza nel 2006, dichiarò che gli accordi tra Israele ed Autorità Palestinese erano illegittimi, e che Hamas è l’unico proprietario delle risorse di Gaza Marine. Bg Group e governo israeliano avevano escogitato una strategia per aggirare Hamas. Un funzionario dalla Bg nell’agosto 2007 disse al Jerusalem Post che «Bg ed Israele hanno raggiunto un’intesa che trasferirà i fondi destinati al Palestinian Investment Fund dell’Autorità Palestinesesu un conto bancario internazionale, dove saranno trattenuti fino a che l’Autorità Palestinese non riprenderà il controllo della Striscia di Gaza». Ma l’Olp si è rivelata incapace di rovesciare il governo di Hamas a Gaza e gli israeliani non intendono certo dare le royalties del gas ad Hamas. Quindi, come disse sempre nel 2007 il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon, l’unica maniera per sfruttare il gas di Gaza era un’incursione militare israeliana per eliminare Hamas. Ma Ya’alon, che non a si fidava nemmeno di Al Fatah, concludeva che «E’ chiaro che senza un intervento militare globale per eradicare il controllo di Hamas su Gaza, nessun lavoro di trivellazione può avvenire senza il consenso del movimento islamico radicale». La guerra di oggi sembra seguire quella traccia e proseguire nel solco dell’Operazione Piombo Fuso.
Quindi, dice Mosaddeq, «L’esclusione di rappresentanti palestinesi – sia di Fatah che di Hamas – dagli ultimi negoziati tra Israele e Bg Gas non è un caso. Mentre il presidente dell’autorità Palestinese Mahmoud Abbas stava cercando autonomamente di raggiungere un accordo con la russa Gazprom per sviluppare Marine Gaza, Netanyahu aveva già “Infatti esplicitamente chiarito che non avrebbe mai tollerato uno Stato palestinese pienamente sovrano” che è il motivo per cui, secondo funzionari Usa, ha deliberatamente silurato il processo di pace. L’altro fattore in questa equazione è la battaglia legale per i progetti gasieri a Gaza di Yam Thetis, un consorzio di tre imprese israeliane e della Samedan Oil». La Samedan è una filiale della stessa Big Oil americana, la Noble Energy, che si avvale della collaborazione di Allison Good e che opera nel campo Noa Sud che sconfina nella zona economica di Gaza. La Yam Thetis dice che la Bg non aveva alcun diritto di trivellare nell’offshore palestinese, dato che l’Autorità palestinese non è uno Stato e non può concedere licenze al largo di Gaza. Quindi il consorzio dominato dalla Noble Energy avrebbe il diritto di trivellare dove e come gli pare nel Gaza Marine, a favore di Israele ed a spese dei palestinesi.
Eppure, secondo gli accordi di Oslo la giurisdizione marittima palestinese si estende fino a 20 miglia dalla costa, ma Israele ha gradualmente ridotto la giurisdizione marittima di Gaza, che pure aveva sottoscritto, portandola a 3 miglia, un modo per vanificare la sovranità palestinese sul Marine Gaza.
Per Mosaddeq, Israele vuole accedere al gas di Gaza per evitare il rischio di una crisi energetica nel 2015 e «L’ostacolo fondamentale per farlo non è rimasto solo l’intransigenza di Hamas, ma un’Autorità Palestinese sufficientemente duttile da cercare di impegnarsi con il rivale dell’archeo-geopolitica dell’Occidente, la Russia Proprio l’impegno di Israele nel bloccare una soluzione a due Stati e bypassando Hamas ha fatto sì che la sua unica possibilità di mettere in produzione il gas di Gaza sia stata quella di farlo direttamente, con, a quanto pare, la collusione concorrente delle compagnie energetiche americane e britanniche. L’Operazione dell’esercito israeliano a Gaza, è stata lanciata in modo fraudolento in nome della legittima difesa e certamente, anche se non esclusivamente, per alterare in modo permanente la situazione sul terreno a Gaza, con in testa quello di far fuori le ambizioni dell’Autorità Palestinese di gestire in modo autonomo lo sviluppo delle riserve di gas di Marine e per eliminare la sovranità su di esse dichiarata da Hamas».