La strage infinita nel più giovane Paese del mondo
La guerra etnica africana dei pastori col Kalashnikov che uccidono per petrolio e potere
[23 Aprile 2014]
Mentre il mondo ricorda il genocidio del Rwanda, l’United Nations mission in South Sudan (Unmiss) denuncia che ormai in Sud Sudan la guerra tra le forze governative fedeli al presidente Salva Kiir e le milizie dell’opposizione dell’ex vicepresidente Riek Machar è arrivata alle porte della base dei caschi blu a Renk, nello Stato dell’Alto Nilo.
Alla missione Onu, che doveva favorire il cammino verso la democrazia, non resta che assistere impotente a questa guerra etnica fratricida per il petrolio e le risorse tra i cristiani/animisti che, dopo 20 anni di guerriglia contro il Sudan nel 2011, dichiararono l’indipendenza del Sud Sudan con un referendum al quale dissero sì più del 90% dei partecipanti. Una unità che nel più giovane Paese del mondo è durata pochissimo, minata dagli odi etnici che si mascherano dietro le due fazioni della Sudan People’s Liberation Army (Spala) che si accusano vicendevolmente di aver ordito un golpe.
I ribelli nuer in questi giorni si sono resi colpevoli di stragi orrende, assassinando i dinka fin dentro gli ospedali, i campi profughi e le moschee, ma le forze lealiste non sembrano da meno quando occupano territori “nemici” che pure dovrebbero essere la loro nuova e giovane Patria.
Quello che i pastori e i contadini armati di Kalashnikov stanno seminando è un raccolto di odio che ha praticamente già soffocato nel sangue le speranze di libertà e sviluppo di un Paese che annega nel petrolio e nella miseria, nella superstizione e nell’odio tribale, che per secoli è stato così bene attizzato dagli ex colonialisti inglesi e nord-sudanesi.
Ormai le milizie non hanno più freni, come dimostrano le orrende stragi perpetrate a Bentiu, la capitale dello Stato di Unity, riconquistata dai ribelli e dove solo le bandiere dell’Onu difendono 22.000 profughi che solo all’inizio di aprile erano 4.500.
L’Unmiss denuncia che le strade di Bentiu e Rubkona sono disseminate di cadaveri e che le due città sono state saccheggiate. Lo stesso campo profughi gestito dall’Unmiss è stato colpito da 4 razzi.
Intanto i ribelli nuer avanzano nello Stato di Unity ed hanno conquistato anche Mayom, a 70 km da Bentiu. A Bor, nello Stato di Jonglei, dove il 17 aprile uomini armati hanno invaso il campo profughi dell’Onu ed hanno fatto una strage la situazione resta tesa.
Ma è a Bentiu, cuore nero del petrolio sud-sudanese, dove le milizie hanno fatto fino ad ora la strage più grave tra i civili: 200 morti e 400 feriti in una moschea. L’Unmiss dice che «Le forze pro-Machar hanno separato degli individui di alcune nazionalità o gruppi etnici e li hanno messi al sicuro, mentre gli altri sono stati uccisi».
Sembra il racconto di una strage nazista nell’appennino italiano o il fantasma risorto delle stragi di tutsi perpetrate in Rwanda ed invece è tutto terribilmente vero, succede nel 2014 in una terra inzuppata di sangue e petrolio e dalla quale Dio, Allah e gli spiriti degli antenati sembrano aver distolto lo sguardo. Una strage iniziata il 15 dicembre e costellata di trattative senza risultato e di massacri etnici che hanno già fatto migliaia di vittime, senza risparmiare vecchi, donne e bambini.
Mentre il mondo sembra stare nuovamente a guardare impotente un nuovo genocidio in un Paese che l’Occidente ha fortemente voluto indipendente, ma che è stato incapace di portare verso la democrazia, l’unità e la pace, pensando più al petrolio ed alla geopolitica che a rinsaldare un’unità basata sull’odio per gli arabi/musulmani ma nata già minata dall’odio ancestrale tra nuer e dinka, nemici da sempre per acqua, terra e pascoli ed ora per l’oro nero ed il potere nel più giovane e sfortunato Stato del mondo.