I portatori di speranza nel caos violento di Haiti

Salvano vite appena nate e proteggono donne e ragazze in un Paese in mano alle gang criminali

[14 Ottobre 2022]

L’OCHA ricorda in un Tweet che ad Haiti il terminal petrolifero di Varreux, a Port au Prince, è bloccato da un mese, mentre l’accesso ai servizi di base resta molto limitato, eppure i partner dell’Onu continuano a rispondere alla crisi umanitaria e ad aiutare il debolissimo governo haitiano ad affrontare un’altra epidemia di colera. Il blocco del terminal petrolifero da parte delle gang criminali che tengono in pugno il Paese più povero delle Americhe, da settimane sta causando rivolte e gravi carenze di generi di prima necessità. Con il crollo della protezione, dell’assistenza sanitaria e dei servizi essenziali, la violenza, la crisi politica ed economica che sta travolgendo Haiti si è rapidamente deteriorata in quella che l’Onu ha definito «Una catastrofe umanitaria».

Circa tre quarti degli ospedali sono senza elettricità e non sono più operativi, mancano medicine, ossigeno e attrezzature salvavita. Con i trasporti quasi inesistenti, gli operatori sanitari non possono piùandare a lavoro e ora a Port-au-Prince ci sono solo tre ambulanze in funzione, praticamente nessuna nel resto del Paese.

La violenza delle gang è in aumento in tutta Haiti da luglio. con centinaia di persone uccise, violentate e rapite e più di 25.000 cacciate dalle loro case solo nella capitale  e che sono in cerca di riparo, la maggior parte delle quali donne e bambini.

Una guerra (in)civile brutale e insensata, di tutti contro tutti, a un passo dalla più grande potenza economica e politica del mondo che, gli Usa, dopo essere intervenuti – anche militarmente – ad Haiti, dopo aver guardato una brutale dittatura fascista dissanguare il Paese, dopo aver insediato e fatto cadere presidenti eletti, non è riuscita a impedire che, dopo il terremoto catastrofico del 2010, Haiti precipitasse in un caos perenne che è esploso sanguinosamente dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021.

L’United Nations sexual and reproductive health agency (UN Population Fund – UNFPA) denuncia che «Ora, in mezzo a una quasi totale mancanza di servizi di base, inclusi centri sanitari funzionanti, accesso ad acqua potabile sicura, strutture igienico-sanitarie e raccolta dei rifiuti, un’epidemia di colera sta minacciando la salute e la vita di milioni di persone già vulnerabili e impoverite. La malattia trasmessa dall’acqua provoca diarrea acuta che può essere mortale se non trattata entro le prime ore: finora sono morte 18 persone e ci sono oltre 250 casi sospetti. Senza strutture mediche o operatori sanitari qualificati, tra i più a rischio di non ricevere le cure critiche di cui hanno bisogno ci sono circa 29.000 donne incinte e i loro neonati , soprattutto se ora contraggono il colera. Altre 10.000 complicazioni ostetriche potrebbero non essere curate e migliaia di donne e ragazze esposte ad alti tassi di violenza sessuale e abusi sono rimaste senza servizi di protezione».

Ma, in mezzo alla violenza e al crollo di uno Stato fantasma, il personale dell’UNFPA, sta facendo del suo meglio per proteggere le ragazze da gravidanze indesiderate e salvare la vita delle donne che cercano di partorire nelle circostanze più difficili. Come spiega Judline, infermiera e operatrice comunitaria dell’UNFPA a Port-au-Prince, «Il mio impegno professionale è quello di salvare vite umane, impedire che un numero maggiore di ragazze e donne rimangano incinte involontariamente e muoiano durante il parto. Lavoro con un team di funzionari della comunità, coordinando le cliniche mobili nelle quali le donne e le adolescenti possono accedere ai servizi di salute riproduttiva».

Judline è una deglle eroine e degli eroi quotidiani, dei portatori di speranza, che, in mezzo alla violenza e all’insicurezza, hanno continuato a visitare i campi profughi, contribuendo a garantire che le donne e le ragazze ricevano le cure essenziali di cui hanno bisogno.  Lei e il suo team identificano e monitorano le donne incinte che potrebbero avere complicazioni e indirizzano le donne e le ragazze che hanno subito violenze ai servizi di supporto.

Mentre conduceva attività di sensibilizzazione in uno dei campi, Judline ha incontrato una ragazza di 15 anni, Nardine, e racconta che «Era molto riluttante a parlarmi, ma alla fine mi ha detto che era nel terzo trimestre di gravidanza». Rendendosi conto che la ragazza stava per iniziare il travaglio, Judline ha camminato con lei per oltre due chilometri per raggiungere l’ospedale universitario di La Paix, dove Nardine ha partorito una bambina in sicurezza.

Haiti aveva già il più alto livello di mortalità materna in America Latina e nei Caraibi e l’ultima ondata di violenza e instabilità sta compromettendo pericolosamente la vita di migliaia di donne in gravidanza e in allattamento, soprattutto quelle nei campi profughi.

L’UNFPA continua a fornire risposte e protezione alla violenza di genere con  cliniche sanitarie mobili e, dove possibile, inviando i casi più gravi a strutture sanitarie appropriate per l’assistenza clinica e psicosociale, ma fa notare che «Tuttavia, se i meccanismi di protezione si bloccano e i servizi essenziali sono costretti a chiudere, circa 7.000 sopravvissute a violenze sessuali non potranno accedere alle cure mediche e psicosociali e altre migliaia sono a rischio».

A Port-au-Prince, l’UNFPA ha distribuito centinaia di kit per la maternità e la dignità a donne e ragazze che hanno perso tutto mentre fuggivano dalle loro case e ha collaborato con i partner dell’Onu e le ONG per installare pannelli solari negli ospedali e nei centri sanitari e sottolinea che «Questo ha migliorato le strutture della catena del freddo per conservare i vaccini e le medicine e ha consentito ai servizi essenziali di maternità di continuare a operare in 12 località del paese, ma l’energia solare da sola non può mantenere gli ospedali completamente funzionanti».

Nonostante i rischi per la loro stessa sicurezza, Judline ha detto che «Il mio  team garantirà alle donne e alle ragazze incinte l’accesso all’acqua pulita e fornirà cure ai malati di colera. Non posso abbandonarli. Mi vedo come un portatore di speranza, un ascolto immediato per le donne e le ragazze vulnerabili che chiedono aiuto».