Tedeschi e svizzeri chiedono la chiusura delle centrali nucleari più vecchie
Il nucleare inglese sprofonda Edf nella crisi
Greenpeace France: «Bisogna aspettare un grosso incidente o che Edf faccia fallimento?»
[8 Marzo 2016]
Le dimissioni del direttore finanziario di Edf, Thomas Piquemal, in disaccordo con il presidente Jean-Bernard Lévy sulla costruzione di due reattori nucleari in Inghilterra, sprofonda il gigante nucleare francese in una crisi ancora più nera di quanto facessero pensare le denunce delle associazioni ambientaliste francesi e i conti in rosso.
Tutto comincia nel 2009, quando Edf investe 16 miliardi di euro per acquistare British Energy, diventando il il primo operatore energetico della Gran Bretagna, dove gestisce 15 dei 16 reattori in 8 centrali nucleari.
Nel 2013 Edf annuncia il progetto per costruire a Hinkley Point due EPR come quelli che, insieme all’altro colosso nucleare francese, Areva, sta costruendo a Flamanville in Francia, e a Olkiluoto in Finlandia e che sono gravati da enormi sovracosti e ritardi e da continui incidenti. Poco si sa invece di come stia andando con gli EPR Taishan 1 e 2 che EDF sta costruendo in Cina insieme alla China general nuclear, se non che il governo cinese ha messo tutto in standby.
Gli EPR di Hinkley Point sono stati confermati anche nel recente vertice franco-britannico, nel bel mezzo di una crisi finanziaria che ha travolto Areva, che ha deciso di non partecipare più con la quota del 10% ed Edf, detenuta all’84,5% dallo Stato francese, ha dovuto acquistare quote di Areva, anch’essa partecipata dallo Stato.
Il problema è che Edf ha un indebitamento per 37,4 miliardi e che deve investire più di 50 miliardi per prolungare la vita delle vetuste centrali nucleari francesi, per questo Piquemal , appoggiato dai sindacati, chiedeva di rinviare almeno di 3 anni l’avvio dei lavori degli EPR di Hinkley Point che, solo di costruzione costeranno più di 24 miliardi di euro, 16 miliardi a carico di Edf e 8 dei soci cinesi. Lévy e il governo francese volevano proseguire subito in in questa disastrosa avventura e Piquemal si è fatto da parte mettendo ulteriormente a nudo le crepe di quello che fu l’invincibile ed “economico” nucleare francese che Nicolas Sarkozy era riuscito a sbolognare a Silvio Berlusconi e dal quale ci ha salvato solo il referendum.
E’ quello che Greenpeace France definisce «La prova dell’abbandono industriale di Edf e dell’impasse finanziario al quale porta la strategia della testardaggine nucleare». Secondo gli ambientalisti la strategia energetica francese è un disastro: «Ogni giorno ci sono un mucchio di nuovi annunci e di coups de théâtre che testimoniano l’impasse economico nel quale Edf sprofonda da settimane. Nel dicembre 2015, la compagnia elettrica è semplicemente uscita dal CAC 40, tanto i mercati sono diventati malfidati di fronte alla sua strategia economica. Bisogna dire che il titolo subisce una caduta continua da anni: dal 2008, il valore di un’azione Edf è stato diviso per 8,5, passando da 86 € à 10 €: una perdita di valore di più di 136 miliardi in 7 anni. Solo nelle ultime 3 settimane, lo Stato (azionista all’84,5%) ha perso 600 milioni di euro. Una bella riuscita in materia di gestione economica».
All’inizio dell’anno il governo francese aveva scoperto che i costi del progetto di interramento delle scorie nucleari di Cigéoerano stato fortemente sottostimati: 32,8 miliardi secondo l’Agence nationale pour la gestion des déchets radioactifs (ANDRA) – ma secondo l’ASN sarebbero ancora di più – invece dei 15 miliardi previsti dalla valutazione del 2005. Intanto è arrivata la notizia che i contribuenti francesi dovranno pagare 5 miliardi per salvare Areva da un fallimento che, secondo Greenpeace France, è stato «orchestrato da un pugno di dirigenti corrotti».
Poi sono arrivati i roboanti annunci di Lévy che ha detto che il disastro economico di Edf non farà chiudere nemmeno una centrale, mentre la legge sulla transizione energetica (TE) votata dal Parlamento francese nell’estate 2015 prevede di ridurre dal 75 al 50% la quota di nucleare nel mix elettrico entro il 2025.
Greenpeace fa notare che «Oltre che ad essere in contraddizione con la legge, questa scelta da una parte pone dei problemi in un contesto di stagnazione dei consumi di elettricità in Francia (Edf si trova in una situazione pericolosa di sovra-produzione) e dall’altra di atonia totale del mercato nucleare mondiale. Perché bisogna sapere che la produzione mondiale di energia nucleare è in calo dagli inizi degli anni 2000, minata dal rapido progresso delle energie rinnovabili: nel 2015, in tutto il mondo sono stati investiti 300 miliardi di nelle energie rinnovabili. Nel nucleare 10 volte meno. I costi della produzione di energie rinnovabili non smettono di calare, con una conseguenza elementare: l’atomo presto non sarà più competitivo. Il prezzo dell’elettricità nucleare è aumentato del 20% in 3 anni e continuerà ad aumentare se si prolunga lo sfruttamento delle centrali attuali. Il suo costo di produzione raggiungerà più di 100 €/MWh Per i prossimi EPR i cui ritardi continuano ad accumularsi (l’ASN sta ancora conducendo indagini sul contenimento difettoso di Flamanville). D’altronde anche la Cina ha deciso una moratoria sul progetto degli EPR di Taishan (già in corso di costruzione) fino a che non saranno risolti questi problemi tecnici, accentuando così il fallimento commerciale della strategia internazionale del nucleare francese».
Le grand carénage, il nome in codice er la manutenzione necessaria per prolungare di 10 anni la vita del vecchio parco nucleare francese dovrebbe costare almeno 260 miliardi di euro, se va bene 4,4 miliardi a reattore e Greenpeace France sottolinea che si tratta di investimenti sottostimati da Edf, che non è in grado di far loro fronte con un bilancio in profondo rosso, tanto che nel 2015 il principale azionista, lo Stato, ha rinunciato ai dividendi di Edf.
Greenpeace France è convinta che Edf e lo Stato siano fuori legge: «Invece di appoggiare la legge votata l’anno scorso dalla sua maggioranza, la settimana passata Ségolène Royal (ministro dell’ecologia e dell’energia francese, ndr) non ha trovato di meglio che seguire le orme del patron di Edf, nel senso di un prolungamento di 10 anni delle attuali centrali. La posizione definitive del governo a questo riguardo sarà conosciuta durante la pubblicazione, sempre rinviata, del Plan pluriannuel de l’énergie (PPE), che dovrebbe tradurre concretamente la disposizioni della legge TE, ma è davvero un cattivo segnale.
Tanto per ricordare, la Cour des comptes stima che nei prossimi anni bisognerebbe chiudere almeno da 17 a 20 reattori per raggiungere gli obiettivi di riduzione del nucleare scritti nella legge TE. In maniera più realistica: bisognerebbe senza dubbio chiuderne una trentina».
Intanto piove (radioattivo) sul bagnato. Secondo la stampa tedesca l’incidente avvenuto nel 2014 nella più vecchia centrale nucleare francese, quella di Fessenheim, sarebbe stato molto più grave di quanto dice il governo di Parigi: due reattori sono stati per un certo periodo fuori controllo. Un portavoce del ministero dell’ambiente tedesco ha confermato la gravità dell’incidente e ha aggiunto che Fessenheim, vicinissima alla frontiera con la Germania, «E’ troppo vecchia e dovrebbe essere chiusa il più presto possibile». Eppure era stato il presidente francese François Hollande ad impegnarsi in campagna elettorale a chiudere la centrale entro il suo quinquennato, poi ha cambiato idea quando Edf ha condizionato la chiusura di Fessenheim all’entrata in servizio dell’EPR di Flamanville, procrastinata almeno al 2018.
Ma non è tutto: gli ambientalisti tedeschi lanciano l’allarme anche per la centrale di mosellana di Cattenom, che ha 4 reattori entrati in produzione tra il 1986 e il 1991. Un rapporto del Grünen del Bundestag evidenzia che nella centrale francese le nome di sicurezza sono insufficienti e il leader dei verdi nel Parlamento tedesco, Anton Hofreiter, ha chiesto al governo di Angela Merkel di aprire dei negoziati con la Francia per chiedre una centrale per «pericolo imminente».
Il 2 marzo il Cantone svizzero di Ginevra ha presentato una denuncia contro un’altra vecchia centrale, quella di Bugey, che sorge nel vicino dipartimento francese dell’Ain, della quale chiede da tempo la chiusura. Il Cantone e la città di Ginevra denunciano i francesi «per messa in pericolo deliberata della vita altrui e inquinamento delle acque».
Alle denunce di tedeschi e svizzeri si aggiunge il ricorso al Conseil d’État dell’associazione francese Notre affaire à tous e del Comité de réflexion d’information et de lutte antinucléaire (Crilan) che chiedono l’annullamento dell’ordinanza del 30 dicembre 2015 che riguarda le attrezzature nucleari sotto pressione, essenziali per la sicurezza di una centrale nucleare. L’ordinanza concede un periodo di tempo supplementare a Edf per allineare le sue attrezzature alle nuove norme di sicurezza post-Fukushima. Secondo il presidente di Notre affaire à tous, «Questa ordinanza permette in realtà agli industriali di derogare dai loro obblighi di sicurezza essenziali».
Quindi le dimissioni di Piquemal, in disaccordo su quello che, la settimana scorsa, il ministro dell’economia francese Emmanuel Macron aveva definito «un buon investimento», sono l’ultimo segnale di una crisi nucleare che sta paralizzando Edf.
Per Greenpeace France la situazione è semplice: «Edf ha investito in perdita del denaro che non ha e dietro ha i contribuenti che si dovranno frugare nelle tasche sfondate: da una parte perché i costi energetici non smettono di salire, dall’altra perché la probabilità di un incidente nucleare legato a dei difetti di manutenzione non smettono di crescere. Bisogna aspettare un grosso incidente sul territorio francese prima che il gruppo e il governo si decidano finalmente a riorientare la politica energetica verso le rinnovabili e a comare il ritardo della Francia rispetto ai suoi vicini europei? Oppure che Edf faccia definitivamente fallimento? Quel giorno, sarà troppo tardi.